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L'arresto di Manafort spaventa la Casa Bianca «Ma Trump non c'entra»

Il capo della campagna elettorale del tycoon rischia 80 anni di carcere. È ai domiciliari

L'arresto di Manafort spaventa la Casa Bianca «Ma Trump non c'entra»

New York Cospirazione contro gli Stati Uniti, riciclaggio e falsa testimonianza: sono tre dei 12 capi d'accusa che gravano su Paul Manafort, la prima e più illustre vittima dell'inchiesta Russiagate, sui presunti legami tra l'entourage di Donald Trump e Mosca. Lo stesso Manafort - che rischia sino a 80 anni di prigione e milioni di dollari di multa se sarà condannato per tutti i reati contestati dal procuratore speciale Robert Mueller - si è presentato ieri mattina all'Fbi di Washington ancor prima che venisse resa pubblica l'imputazione a suo carico, e alcune ore dopo è comparso davanti a un giudice federale. Lo stesso ha fatto il suo ex socio Rick Gates. Entrambi si sono dichiarati non colpevoli per tutte le accuse, ma i procuratori hanno chiesto una cauzione di 10 milioni per Manafort e 5 per Gates. E i due sono agli arresti domiciliari.

La prima vera svolta sul Russiagate arriva in una settimana cruciale per il presidente americano, che nei prossimi giorni dovrebbe annunciare la scelta sul prossimo capo della Fed, e partire per il viaggio in Asia. E pur se la prospettiva di un impeachment rimane molto lontana, i nuovi sviluppi fanno tremare Washington. «Questo risale ad anni fa, prima che Manafort fosse parte della campagna. Perchè il focus non sono la corrotta Hillary e i democratici?», tuona su Twitter il tycoon: «Inoltre, non c'è alcuna collusione». Anche se i capi di accusa contro l'ex capo della campagna elettorale, però, dicono che avrebbe cospirato contro gli Usa in un periodo compreso tra il 2006 e il 2017. «Niente a che fare con il presidente, con la presidenza e con la campagna elettorale», è la reazione ufficiale della Casa Bianca. La portavoce Sarah Sanders tuttavia esclude per ora cambiamenti sul procuratore speciale.

Manafort, oltre alla cospirazione contro gli Usa, è accusato di non essersi registrato come agente di uno Stato straniero, aver fatto dichiarazioni false e fuorvianti, riciclaggio e omessa denuncia di conti su banche straniere. Sui suoi conti offshore (e su quelli dell'ex socio) sono transitati oltre 75 milioni di dollari, e avrebbe riciclato oltre 18 milioni. Avvocato, lobbista per leader stranieri controversi e clienti russi, nonché consulente politico di vari presidenti tra cui Ford, Reagan, e George H.W. Bush, Manafort è stato capo della campagna elettorale del tycoon da giugno ad agosto 2016. Poi fu costretto a dimettersi, dopo le rivelazioni sulla lunga attività a favore di Viktor Ianukovich, il presidente ucraino filorusso deposto dalla rivoluzione del Maidan.

Gates, invece, è un lobbista e un consulente politico, diventato socio di Manafort a metà degli anni Duemila e suo vice nella campagna di Trump.

Un ex collaboratore volontario del team, George Papadopolous (ma con un ruolo «estremamente limitato», come ha precisato Sanders) si è invece dichiarato colpevole per aver reso false dichiarazioni all'Fbi sull'inchiesta.

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