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Lascia per Ruby, non per gli arresti ingiusti

Tranfa si indigna per l'assoluzione del Cav, ma non per quello che ha fatto a sei innocenti. Il racconto di Lassini, detenuto per 42 giorni

Lascia per Ruby, non per gli arresti ingiusti

Quei 42 giorni a San Vittore Roberto Lassini se li ricorda bene: «Mi arrestarono il 22 giugno '93.Fu un'esperienza durissima. Io ero il giovane sindaco di un comune di 10mila abitanti sul Ticino: Turbigo. L'accusa era semplicemente lunare: avrei fatto pressione su un consorzio di piccoli imprenditori e artigiani della mia zona facendo saltare il loro presidente per portare a casa una tangente di 300 milioni da spartire con un pezzo della Dc». Il gip, combinazione, si chiamava Enrico Tranfa e aveva accolto in toto le richieste del pm Margherita Taddei: sei persone in cella. Da innocenti. Fra di loro Lassini, ammanettato per tentata concussione, l'assessore regionale Serafino Generoso, democristiano, il fratello di Lassini, Cesare, imprenditore, un ex sindaco. Sei poveracci tutti assolti al termine del dibattimento. Tranfa non aveva visto giusto. Ventuno anni dopo, il giudice è in prima pagina per tutt'altra ragione: si è dimesso polemicamente dalla magistratura dopo aver firmato le motivazioni di una sentenza che non condivideva, quella di assoluzione per Berlusconi al giro d'appello del processo Ruby.

«Non so cosa ci sia dietro questo gesto di Tranfa. Mi pare tutto così oscuro, indecifrabile, dettato forse da ragioni personali. Però so cosa successe a noi: allora Tranfa ci spedì dritti in cella e ci lasciò dietro le sbarre a lungo. Per dirla tutta, ci saremmo rimasti ancora, chissà per quanto, forse per mesi, fino alla scadenza dei termini di custodia cautelare. Uscimmo per fortuna il 2 agosto perché Generoso stava facendo uno sciopero della fame durissimo e stava male, malissimo, sempre peggio. Un gip di turno ci tirò fuori». Era un'altra Italia, c'era ancora la Dc e Berlusconi, cui poi Lassini si è legato, doveva ancora scendere in campo. Ma certe ferite restano e tagliano il tempo come una faglia. «Io sono avvocato e da avvocato vorrei fare una notazione tecnica: ci fosse stato il gip collegiale, come Forza Italia chiede da tempo, forse Tranfa sarebbe stato messo in minoranza, come è successo al momento di decidere il destino del Cavaliere e io e gli altri non saremmo stati chiusi in una cella».

Un tizio sosteneva che Lassini aveva provato a scucire 300 milioni a quel consorzio. Al processo furono sentiti tutti i testimoni e i testimoni smentirono questo signore. Risultato: sei assoluzioni su sei imputati e tutti con formula piena. Di più: la procura, la procura dei tempi di Mani pulite e della rivoluzione giudiziaria, quella procura che procedeva come un rullo compressore, non presentò nemmeno appello. Quasi incredibile per l'epoca. Di quel procedimento non rimase niente.

Anzi no, restarono solo le sofferenze: «Durante l'ora d'aria conobbi Gabriele Cagliari, il presidente dell'Eni. Era uno dei pochi, fra molti criminali comuni, che leggeva i giornali e commentava le notizie di attualità. Fra di noi si stabilì una certa cordialità. Faceva intendere che l'avrebbero scarcerato». Si illudeva e quando scoprì la verità si uccise infilando la testa in un sacchetto di plastica. Le ragioni di quella mancata liberazione sono state oggetto di interminabili polemiche. Lassini porta con sé quei momenti terribili: «Al ritorno dall'aria scoprimmo che Cagliari era morto. La sua cella era vicinissima alla mia. Quella sera ci fu un gran trambusto, i detenuti bruciavano le suppellettili. Come nei film. Erano tutti convinti che fosse stato ucciso». Non era vero.

Lassini tornò finalmente alla sua vita di prima. A Palazzo di giustizia, da avvocato, mette piede tutti i giorni. O quasi. Ma con Tranfa non ha più parlato. Né Tranfa l'ha mai fermato nei lunghi corridoi dechirichiani del tribunale. Nessun accenno a quel passato ingombrante. Solo silenzio. Qualche anno fa, in vista delle elezioni per il sindaco, è Lassini a fare notizia: il suo nome viene collegato ai manifesti antimagistratura comparsi in città e firmati dall'associazione «Dalla parte della democrazia». Scintille, reazioni sdegnate, precisazioni. Poi l'avvocato viene prosciolto dall'accusa di vilipendio alla magistratura. «Io ho ottimi rapporti con molti magistrati. C'è una generazione nuova di giudici con cui è bello discutere e confrontarsi». Per una volta il tempo passato non è fonte di nostalgia. Nessun rimpianto.

Anzi, la voglia di voltare pagina, una volta per tutte.

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