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L'autista Luppino: "Non sapevo fosse lui". Il gip: "Sodali da anni"

La difesa del commerciante di olive non convince i magistrati. Sotto torchio anche il medico Tumbarello

L'autista Luppino: "Non sapevo fosse lui". Il gip: "Sodali da anni"

Collaboratore, fiancheggiatore, persona di fiducia del boss. Per il gip Fabio Pilato non c'è dubbio che Giovanni Luppino, il commerciante di olive di Campobello di Mazara (Trapani), arrestato insieme a Matteo Messina Denaro fuori dalla clinica La Maddalena, sapesse bene chi stava accompagnando a fare la chemioterapia.

Non è possibile, infatti, che un padrino di Cosa Nostra si contorni di figure delle quali non si fida totalmente. Non lo avrebbe fatto nessuno, figuriamoci «U Siccu», che è riuscito a restare 30 anni latitante. Per queste ragioni ieri mattina il giudice, al termine dell'interrogatorio di garanzia nel carcere Pagliarelli di Palermo, ha convalidato l'arresto del 59enne accusato di favoreggiamento aggravato e procurata inosservanza della pena, riservandosi di decidere sulla misura cautelare. Luppino non è parente del boss omonimo, anzi sarebbe un volto nuovo per gli inquirenti, mai coinvolto in passato in operazioni antimafia. Difeso dall'avvocato Giuseppe Ferro, è comparso davanti ai pm della procura di Palermo, Pierangelo Padova e Alfredo Gagliardi e si è difeso. «Non sapevo che fosse Matteo Messina Denaro, solo un pazzo avrebbe potuto accompagnarlo sapendo che si trattava del boss - ha detto - mi era stato presentato come Francesco, cognato di Andrea Bonafede, il geometra al quale era intestata la falsa carta d'identità utilizzata dal super latitante».

Luppino ha raccontato di aver incontrato Bonafede, alias Matteo Messina Denaro, solo qualche mese fa e di averlo accompagnato lunedì scorso per la prima volta a Palermo, dove il boss doveva sottoporsi alla chemio, perché gli era stata chiesta questa cortesia a causa delle sue condizioni di salute. La difesa perciò si è opposta sostenendo, tra le altre cose, che il fatto non costituisce reato. Ma il giudice ha dato ragione ai pm della Dda di Palermo, che nella richiesta di convalida dell'arresto erano stati chiari. «Luppino ha certamente contribuito, in senso materiale e causale alla prosecuzione della latitanza di Messina Denaro, facendogli da autista e accompagnatore personale - scrivevano - ha certamente garantito a questi possibilità di spostamento in via riservata senza necessità di ricorrere a mezzi di locomozione direttamente condotti dallo stesso latitante o mezzi di locomozione pubblici o privati che potessero in qualche modo esporlo alla cattura». E ancora: «È un collaboratore certamente fidato di uno degli ultimi storici capi della stagione stragista e terroristico mafiosa dell'organizzazione Cosa nostra, fino ad oggi capace di mantenere l'anonimato e il suo stato di latitanza a fronte di centinaia di arresti di fiancheggiatori e decine di prossimi congiunti». E poi l'ultima stoccata. «Costituisce fatto notorio che l'autista di una figura di spicco di un'organizzazione mafiosa sia necessariamente soggetto di assoluta fiducia della persona accompagnata» si legge ancora. E c'è un altro dettaglio: Luppino aveva con se un coltello a serramanico con lama da 18,5 cm. «Lo porto sempre con me», ha detto al gip che chiedeva perché lo avesse anche in ospedale.

E ora tocca ad Alfonso Tumbarello, 70 anni, il medico di base di Campobello di Mazara in pensione, che ha avuto in cura sia il vero che il finto Andrea Bonafede. È indagato e potrebbe essere ascoltato nei prossimi giorni dall'Ordine di Trapani, dove è iscritto, perché rischia la radiazione. I carabinieri, che lo hanno interrogato, hanno perquisito le sue abitazioni di Campobello e Tre Fontane. «Il mio assistito è fiducioso nella magistratura e nelle forze dell'ordine affinché si accerti la verità - ha dichiarato ieri l'avvocato di fiducia Giuseppe Pantaleo -.

L'atteggiamento del dottor Tumbarello non credo possa essere diverso da chi intende dare chiarimenti che può e che è in condizioni di dare».

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