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"Il lavoro se c'è si prende". Così Salvatore e Fausto hanno sfidato il terrore

Uno saldatore siciliano, l'altro supervisore sardo. In Libia avevano paura: "Ma le famiglie dobbiamo pur mantenerle"

"Il lavoro se c'è si prende". Così Salvatore e Fausto hanno sfidato il terrore

L'Africa è grande e non scompare solo per il fatto che non la ascolti. Domani ti viene a trovare, suonando al campanello della tua casa italiana. Perché se da noi il lavoro scarseggia, quella terra, seppur terribile, è ancora ricca di opportunità. È un po' il leitmotiv dei 48mila connazionali in Africa, compresi i circa 600 nella Libia del dopo-Gheddafi. La loro condizione è racchiusa nelle parole che una delle vittime, il 47enne Salvatore Failla, aveva postato su facebook poche settimane prima del 19 luglio, giorno del rapimento. «Paura di vivere in Libia? A dire il vero qualche scontro c'è stato, ma dopo tre anni ormai ci ho fatto il callo». E sui motivi che lo spingevano a rimanere nel Paese maghrebino non si trincerava dietro frasi edulcorate: «Il lavoro si prende quando c'è e me lo faccio piacere per forza. La famiglia bisogna pure mantenerla in qualche maniera e poi questo mestiere mi offre la possibilità di togliermi qualche sfizio».

Mai il saldatore specializzato originario di Carlentini, 18mila abitanti in provincia di Siracusa, avrebbe immaginato di andare incontro a un rapimento lungo più di sette mesi e soprattutto a una morte terribile. L'uomo lavorava per la Bonatti di Parma, al compound Mellitah Oil Gas Company, da circa tre anni, prima era stato in Tunisia. Rosalba Castro, la moglie, e le due figlie di 22 e 14 anni, non vogliono parlare dopo le comunicazioni della Farnesina. Anche se Rosalba un po' se lo sentiva. Lo rivela il legale di famiglia, Francesco Caroleo Grimaldi: «Dal primo bombardamento del 19 febbraio era molto preoccupata. Temeva che potesse accadere qualcosa del genere a suo marito». I Failla si avvalgono della tutela di un avvocato per tenere a bada il «loquace» sindaco di Carlentini Pippo Basso (guida una giunta di centrosinistra con la benedizione di Crocetta), che aveva dato in pasto alla stampa riflessioni e pareri personali sulla vicenda nonostante il silenzio sollecitato dalle famiglie.

Fausto Piano era un supervisor di 60 anni molto conosciuto a Capoterra, cittadina alle porte di Cagliari dove la notizia della sua morte ha sbriciolato le speranze coltivate per mesi dalla moglie Isa e dai tre figli, Giovanni, Stefano e Maura. Ha iniziato nel 1991 in Bonatti come capo officina. Nei primi giorni di luglio si trovava in Sardegna, lo testimoniano le foto pubblicate sul suo profilo facebook. Una vacanza per riposarsi qualche giorno per poi ripartire e andare a lavorare a Mellitah. Il ricordo di Piano è racchiuso nelle parole del suo vicino di casa, Gianni Farigu, che abita sullo stesso pianerottolo della palazzina di via Carbonia. «Era allegro e aveva una parola buona per tutti. C'era troppo silenzio intorno a questa vicenda, ed eccoci qui a piangere».

Si vivono ore di attesa anche a Piazza Armerina, in provincia di Enna, dove vive la famiglia del 65enne Filippo Calcagno, ancora nelle mani dei rapitori. Il figlio Gianluca è provato da questi lunghi mesi fatti di silenzi. «Per ora vivo di ricordi», si limita a dire. Legati a una data, il 13 luglio, giorno del suo matrimonio. Papà Filippo l'aveva accompagnato orgoglioso all'altare. Gianluca era partito per il viaggio di nozze negli Stati Uniti, interrotto dalle notizie del rapimento. «Cosa desidero? Che quel 13 luglio non sia l'ultima volta che ho visto mio padre». Sotto shock c'è anche Monterosso, il paese ligure delle Cinque Terre, vicino a La Spezia, dove abita il 55enne Gino Pollicardo. Ad attendere con ansia il suo ritorno a casa ci sono i due figli Luigi, studente universitario a Bologna, e Yasmine, e la moglie Ema di origini cilene.

Dalla finestra del suo appartamento di via 4 novembre ripete come un mantra: «Io ti aspetto amore mio».

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