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La Lega batte i pugni sul tavolo Ma l'autonomia resta sulla carta

Dopo gli avvertimenti del Carroccio, in Cdm arrivano le prime bozze. Però è tutto rinviato a metà febbraio

La Lega batte i pugni sul tavolo Ma l'autonomia resta sulla carta

L'autonomia sotto l'albero. O, almeno, ci sta l'odore dell'autonomia. La Lega alza la voce e porta in Cdm le intese con le regioni interessate dalle procedure sulle autonomie, Lombardia e Veneto che avevano votato un referendum sul punto a ottobre dell'anno scorso ed Emilia Romagna, che aveva trattato direttamente con il governo Gentiloni. Con il Carroccio al governo dello Stato oltre che di due delle regioni principalmente interessate, è ovvio che le aspettative dell'elettorato leghista per portare al voto l'accordo che delega competenze a livello locale e regala all'Italia un po' di aroma federale sono altissime. Così, dopo che la Lega ha appoggiato M5s sullo spazzacorrotti, toccava a Salvini chiedere qualcosa da offrire agli elettori per le feste. Con qualche problemino. Perché non pochi, tra i pentastellati, guardano con sospetto alla novità: tra i tanti Paola Nugnes, che ancora ieri su Facebook criticava la manovra e pure la «questione autonomie», definita «un passo falso a scapito del Sud». Sul punto, però, il Carroccio ha fatto capire di non potere né volere transigere, tra gli annunci di Salvini e l'affondo del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, che aveva definito quello delle autonomie un «tema chiave» addirittura per «l'esistenza del governo», tanto da far correre Luigi Di Maio a chiedere di «non alzare la tensione» e a precisare che pure i Cinque Stelle avevano appoggiato i referendum.

Il tiro alla corda, insomma, è il solito, con la Lega che può permettersi di giocare senza troppi timori di spezzarla, visto che una fine anticipata dell'esecutivo vedrebbe il Carroccio presentarsi alle elezioni con la popolarità alle stelle e pronto a fare incetta di consensi, oltre al fatto che, come sempre, l'altro vicepremier Di Maio corre a ricucire qualsiasi principio di strappo. Quanto al merito, come detto la mossa è più a uso e consumo della base che altro. Tanto che il ministro delle Autonomie, la leghista Erika Stefani, ha portato a illustrare le bozze delle intese in consiglio dei ministri anche se, proprio tra i ministri in quota M5s, qualcuno si sarebbe mostrato poco collaborativo. Secondo insistiti rumors, tra questi ci sarebbero i titolari delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, e della Salute, Giulia Grillo. Quella di ieri, però, è stata una vetrina per le autonomie, e il governo, con il premier Conte, ha assicurato che la materia è nell'agenda dell'esecutivo, che c'è «unanimità delle forze politiche», e che non esistono rischi per la coesione nazionale. Un punto su cui si è speso anche Salvini, invitando la Puglia a unirsi al tavolo delle regioni in trattativa per la devolution con Palazzo Chigi.

L'accordo tra premier e governatori, comunque, da solo non basterà e non sarà esecutivo senza la ratifica del Parlamento, che deve arrivare a maggioranza assoluta, e i tempi non sono esattamente brevissimi. A scandirli è stato, a fine Cdm, ancora Giuseppe Conte, spiegando che le istruttorie per le varie competenze da passare saranno finite per metà gennaio, e che «vogliamo trovarci nella condizione per cui per il 15 febbraio io possa incontrare i presidenti delle Regioni e sottoscrivere l'intesa o avviare l'iter per la sottoscrizione». Da lì, poi, la palla passerà comunque all'Aula, che dovrà approvarle, queste intese con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Con le incognite, politiche, del caso.

Per ora, in ogni caso, va bene così.

Sotto l'albero anche il primo accenno di federalismo è comunque «storico».

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