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Lega-M5s, tregua in bilico. Il Vietnam di Conte è a Roma

Il premier ad Hanoi è ancora in ansia per il rischio di voto anticipato. Intanto incassa l'accordo sugli appalti

Lega-M5s, tregua in bilico. Il Vietnam di Conte è a Roma

Da Hanoi, dove si è rifugiato col sollievo di sapere che - per il momento - i suoi vice hanno trovato l'intesa sul decreto Sblocca cantieri e dunque non gli staccheranno la spina, il premier Conte si barcamena facendo due parti in commedia.

Un po' garante della serietà italica rispetto alla Ue e alle sue regole di bilancio, in ossequio alle indicazioni ricevute di quel Colle sotto la cui ala protettiva si vorrebbe attestare: «Il governo intende continuare il dialogo con la Commissione. Farò ogni sforzo per scongiurare una procedura di infrazione che ovviamente non fa bene al paese», assicura. Poi, però, gli tocca dimostrare lealtà ai suoi azionisti, Di Maio e Salvini, e quindi aggiunge che di «manovra correttiva» non vuol sentir parlare, che i calcoli della Ue sull'economia italiana sono sbagliati e che i nostri sballatissimi conti si stanno magicamente «autocorreggendo» grazie ai poteri taumaturgici del governo: «Non ci sarà una manovra bis perché l'obiettivo programmato lo stiamo raggiungendo e i conti saranno diversi da quelli prefigurati da Bruxelles. La Commissione fa contestazioni sulla base di loro stime. Le nostre sono diverse». E giura che la flat tax di Salvini è una «priorità» del suo governo.

Il suo ruolo di garante nei confronti di Bruxelles viene però immediatamente messo in discussione dal capo della Lega, che gli spedisce il suo avvertimento: «Conte ha la fiducia di tutti nella trattativa con Bruxelles, ma è chiaro che il voto europeo chiede un cambio di marcia». Ovvero: l'azionista di maggioranza, ora, è il Carroccio.

La tegola della possibile procedura di infrazione, che gli arriva sulla testa in Vietnam, era largamente attesa e preannunciata. Per Conte, però, vale assai di più la tregua sottoscritta da Lega e Cinque stelle, e il ritorno di fiamma tra Salvini e Di Maio: l'accordicchio sugli emendamenti - ieri approvati in Senato - allo Sblocca cantieri lo riempie di entusiasmo, ma il premier sa di non potersi ancora considerare in salvo: fino a fine mese, la finestra del voto a settembre resta aperta, e l'incidente (per il quale tifa un pezzo non indifferente del Carroccio) può sempre consumarsi nel vero Vietnam di Conte, ossia quel Parlamento in cui sono ancora impantanati provvedimenti per lui fondamentali come il cosiddetto «decreto Crescita».

Per non parlare delle questioni ancora tutte da sbloccare come la Tav o l'Autonomia: i grillini, atterriti dal voto anticipato, hanno a parole aperto alle istanze del Carroccio cui si erano finora strenuamente opposti. Ma nelle prossime settimane le ostilità potrebbero ripartire. Così Conte resta cauto: «Ci sono ottime premesse per ritrovare il dialogo nella maggioranza, le saluto con favore. Ne derivo che da queste premesse derivino conseguenze positive», dice ad Hanoi col suo consueto, ampolloso eloquio da Azzeccagarbugli. Il superamento dei dissidi sul Codice degli appalti è «un segnale importante di disponibilità. Ma - avverte - la disponibilità deve dipanarsi nel tempo».

Conte sa bene che il compromesso sullo Sblocca cantieri è poco più di un palliativo: «Un piccolo appiglio lessicale («Non trovano applicazione in via sperimentale», ndr) riferito a tre norme che comunque il decreto aveva già cambiato, e che Salvini usa per dire che hanno sospeso il Codice», spiega il senatore Pd Salvatore Margiotta. A Salvini il pretesto basta per far pace col suo Gigino, ma nella Lega l'insoddisfazione cova. E le inquietudini di maggioranza paralizzano il Parlamento: a Montecitorio l'esame del decreto Crescita, «previsto per venerdì scorso, spostato poi a lunedì, poi rinviato a ieri, aggiornato a stamattina, rimandato a oggi pomeriggio, su richiesta del governo è stato spostato a lunedì prossimo», racconta il dem Enrico Borghi: «Il decreto crescita non cresce».

E la maggioranza, sintetizza Brunetta, resta «un manicomio».

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