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È legge il decreto Ong. Un trucco per aggirarlo

La Finanza intercetta a Lampedusa il trasbordosu un barchino. Fermo e multa per la Geo Barents

È legge il decreto Ong. Un trucco per aggirarlo

Il decreto Ong, che regolamenta l'azione delle navi Ong nel Mediterraneo, è legge. C'è il via libera definitivo dall'Aula del Senato con 84 voti favorevoli, 61 contrari e nessun astenuto. Vengono sedimentate le nuove regole che disciplinano gli interventi in mare delle Ong che non potranno più ciondolare dinanzi alle coste libiche e tunisine in attesa di salvataggi multipli fino a riempirsi di passeggeri per far rotta solo dopo sull'Italia, ma dovranno richiedere un porto sicuro nell'immediatezza dell'evento e raggiungerlo. Gli obiettivi sono l'incolumità delle persone recuperate in mare e la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica. Sono previste sanzioni in caso di violazione della normativa, il fermo amministrativo per 2 mesi della nave e la confisca in caso di reiterazione. E proprio nelle stesse ore la Geo Barents, nave di ricerca e soccorso di Medici senza frontiere, è stata raggiunta da un fermo amministrativo di 20 giorni e una multa da 10 mila euro. «Stiamo valutando le azioni legali da intraprendere per contestare l'accaduto - è stata la replica - non è accettabile essere puniti per aver salvato vite». Tornando alla legge, c'è già chi vede l'inganno. Salta infatti fuori dal cilindro del passato il trucco dell'utilizzo di una nave madre per consentire gli ingressi irregolari in Italia. In pratica, dato che le Ong, dopo aver effettuato un soccorso, devono dirigersi verso il porto assegnato, i trafficanti di vite umane garantiscono viaggi sicuri utilizzando in genere un peschereccio che bene può affrontare lunghe distanze, a cui viene agganciato un barchino spesso privo di motore che viene sganciato nei pressi delle coste siciliane, sarde o calabresi. In alcuni casi, invece, i migranti viaggiano nascosti nel peschereccio per poi essere lasciati in mare vicino alla terraferma per non annegare. Operazione certamente più rischiosa. Questo tipo di sbarchi è pericoloso in quanto i migranti, una volta a terra, cercano di disperdersi sul territorio bypassando i controlli identificativi e sanitari. La conferma del ritorno all'utilizzo di navi madre viene da un'operazione della Sezione navale della Guardia di finanza di Lampedusa, che il 17 febbraio (ma reso noto solo ieri) ha bloccato a 5 miglia dall'isola di Lampione (Pelagie) un peschereccio tunisino che trainava un barchino in ferro, privo di motore, con 11 migranti. I 5 tunisini dell'equipaggio sono stati arrestati per aver consentito l'ingresso irregolare di migranti, il gip ha convalidato il fermo e si trovano in carcere. Quando il peschereccio è stato avvistato da un velivolo di Frontex, il natante a traino era vuoto, ma, all'arrivo delle Fiamme gialle, c'erano 11 tunisini e algerini. Dal motopesca avevano lanciato l'Sos per attivare la macchina dei soccorsi fornendo nome fittizio.

«Non c'è stata collaborazione da parte dei migranti» ha detto il procuratore reggente di Agrigento, Salvatore Vella, spiegando che si innesca una sorta di solidarietà in quanto questi migranti non rischiano la vita come invece i subsahariani che viaggiano su natanti fatiscenti. Secondo quanto ricostruito dal col. Alessandro Bucci, comandante del reparto operativo aeronavale Gdf di Palermo, i migranti sono partiti giovedì da Madhia e sono saliti sul motopesca poco al largo del porto.

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