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Legge elettorale ferma. Renzi si chiama fuori: ora non tocca più a noi

Il Pd guarda al dopo ballottaggio: verso il sistema che piace a Fi non c'è preclusione

Legge elettorale ferma. Renzi si chiama fuori: ora non tocca più a noi

Per ora, il tormentone della legge elettorale si prende una pausa e va in vacanza fino a dopo i ballottaggi: così ha deciso ieri la commissione Affari costituzionali della Camera che, sulla carta, ha ancora in calendario il dossier.

In casa Pd dicono che - dopo il fallimento dell'operazione «legge tedesca», provocato dai Cinque Stelle - la pratica per quanto li riguarda è archiviata. E del resto Matteo Renzi ieri è stato chiaro su un paio di punti: primo, il Pd non si prenderà la briga di riaprire la partita, dopo aver incassato la bocciatura del Mattarellum, quella del cosiddetto «Rosatellum» (mezzo proporzionale e mezzo maggioritario di collegio) e infine quella del tedesco: «Se ci faremo carico di una nuova proposta sulla legge elettorale? Ma no, se il Pd prendesse un'altra iniziativa sul tema ci denuncerebbero per stalking. Ora ci si prende un po' di tempo».

Dal Partito democratico spiegano che Forza Italia, passati i ballottaggi, vorrebbe riprendere il dialogo sulla legge tedesca. Ma che, anche se non c'è una «preclusione ideologica», visto che il Pd aveva già dato la sua disponibilità, ora le condizioni sono proibitive: sia per i tempi, visto che l'autunno sarà occupato dalla sessione di bilancio; sia per il rischio di agguati a voto segreto, che già l'hanno affondata una volta.

L'altra questione su cui Renzi chiude la porta è la rinascita delle coalizioni di centrosinistra vagheggiata da molti anche nel Pd, a cominciare da Prodi. «Siamo seri: Prodi è il primo che dovrebbe conoscere le conseguenze di una coalizione che magari vince pure, ma poi non governa. Io a una nuova Unione da Mastella e Dini a Bertinotti dico no». Porta chiusa dunque a chi, come Andrea Orlando nel Pd o la sinistra radical fuori, chiede di trasformare in premio di coalizione quello previsto dal Consultellum per la lista che superi il 40%. «E un Pd largo e plurale può fare il 40%», dice il leader Pd: chi vuole salvarsi dalla tagliola della soglia dell'8% al Senato (prevista dal Consultellum) può accomodarsi nelle liste democrat alla Camera, è il messaggio a Pisapia e compagni. A patto che siano stati schierati per il Sì al refenredum, come l'ex sindaco di Milano: i vari Bersani e D'Alema, invece, si arrangino.

Renzi però non rinnega affatto il tentativo di accordo con Silvio Berlusconi sulla legge elettorale: «Ma quale patto extra-costituzionale», replica - senza nominarlo - a Giorgio Napolitano che si era inalberato. «Se ci sono quattro leader di partito che si mettono d'accordo, si tratta di un patto pienamente parlamentare con un suo valore». L'obiettivo delle larghe intese «non era né mio né di Berlusconi: le grandi intese arrivano, se arrivano, quando c'è stallo». E aggiunge: «Non c'era l'idea di fare un governo insieme. Quello, se mai, lo hanno fatto Bersani nel 2011 e nel 2013, e il premier Enrico Letta nel 2013». Di Berlusconi, il leader Pd ricorda che ha fatto di tutto per far cadere il referendum. «Non è propriamente il mio migliore amico dal punto di vista politico, ma anche personale». Però annovera il Cavaliere nel fronte anti-populista composto da grillini e Lega salviniana: rappresenta, dice «un centrodestra che c'è e non potete pensare di cancellare perché Berlusconi oggi è il Ppe, il partito della Merkel in Italia. E lo danno sempre per morto, e invece riesce sempre a riemergere.

Grande rispetto per un avversario che comunque c'è».

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