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Legge elettorale, Renzi fermo E il Cav resiste all'ultimatum

Ennesima direzione Pd domani. Il premier accontenta gli alleati: soglia di sbarramento al 4% per dimostrare di essere autosufficiente sull'Italicum

Legge elettorale, Renzi fermo E il Cav resiste all'ultimatum

Se Matteo Renzi si è sottoposto ieri sera all'atroce rito del vertice di maggioranza è perché ha urgente bisogno di stanare l'altra metà del patto del Nazareno. Ossia Silvio Berlusconi. Al vertice propone un cronoprogramma di legislatura che comprende legge elettorale entro l'anno (con soglie dal 4 per cento in giù), riforma del Senato, Jobs act e delega fiscale.

Il Cavaliere rinvia, prende tempo nonostante gli ultimatum e manda - dicono nel governo - segnali contrastanti, che alimentano la preoccupazione. Berlusconi è rimasto chiuso tutto il giorno ad Arcore, alle prese con una lunga riunione con i figli e con un ancor più lungo faccia a faccia pomeridiano con Gianni Letta e Fedele Confalonieri, tanto che il centralino di Villa San Martino ha rimbalzato le telefonate in arrivo all'ex premier fino a dopo l'ora di cena. Sul tavolo, ovviamente, c'è quel premio di maggioranza alla lista (invece che alla coalizione) su cui il leader di Forza Italia ha sì aperto ma continuando comunque ad avere fortissime perplessità. Tutto, insomma, è in movimento. Come pure quanto accade dentro il partito, anche se l'ufficio di presidenza di Forza Italia in programma oggi a Palazzo Grazioli potrebbe sancire la cosiddetta «pax fittiana». Sono giorni, infatti, che gli ambasciatori stanno ragionando con Raffaele Fitto per trovare un punto d'incontro e rilanciare la prospettiva unitaria. Per l'ex ministro il passaggio fondamentale è che venga dato un segnale sul fronte della democrazia interna (primarie?) e la ritrovata armonia potrebbe passare per un appeasement sugli emendamenti alla legge di stabilità che, proposti da Fitto, potrebbero essere fatti propri da Forza Italia. Quel che certo è che Berlusconi vuole comunque continuare a prendere tempo. Perché, spiega un big azzurro, «se la legge elettorale va in aula al Senato a gennaio è di fatto sicuro che non si voterà in primavera».

Il premier invece vuole accelerare, e anche per questo ha convocato per domani (prima di volare in Australia per il G20) la direzione Pd. Il segnale che Renzi vuol dare al Cavaliere è quello di una potenziale autosufficienza della maggioranza, che al Senato (abbassando sotto il 5% le soglie di ingresso e aumentando il peso delle preferenze) ha i numeri, sia pur risicati, per votarsi la legge elettorale. Sulla carta, 174 senatori, ossia 13 più del quorum necessario. A Palazzo Madama lo scrutinio segreto non ci sarà, e il pericolo di fronda occulta è inesistente: scontando anche i dissidenti ad oltranza Pd, ce la si può fare. E una cosa deve essere chiara, aggiungono dal fronte renziano: «Lo schieramento che vota le riforme è lo stesso che voterà il futuro presidente della Repubblica. Chi si mette fuori dall'uno, sarà inevitabilmente fuori dall'altro». Col rischio che dalla roulette esca un nome inviso a destra, e votato dai grillini.

E c'è anche un altro messaggio che si tiene a mandare, in direzione Arcore: far impantanare la legge elettorale non vuol dire evitare le elezioni anticipate. Anzi. Il comunicato domenicale in cui Napolitano precisa che come e quando dimettersi lo deciderà lui (e ieri nel Pd si accreditava l'ipotesi che non succederà in tempi rapidi, ma se mai nella prossima primavera), e soprattutto che fino ad allora il potere di scioglimento resta suo, ha un senso preciso. «Se si va all' impasse sulle riforme, e Matteo getta la spugna, sarà l'attuale presidente e non il prossimo a sciogliere le Camere - spiega un renziano di stretta osservanza - e, persino col Consultellum, Renzi è ancora l'unico che può andare al voto, denunciando chi gli ha reso impossibile cambiare le cose». E si indica ad esempio il prossimo voto in Emilia Romagna: «Sarà un indicatore importante di quel che potrebbe accadere a livello nazionale: astensionismo molto alto, e vittoria a mani basse del Pd». Certo, poi grazie al proporzionale puro del Consultellum il problema dell'ingovernabilità rischia di riproporsi, «ma noi potremo avere più eletti al Senato, e gruppi parlamentari molto più renziani di oggi». Insomma, «paradossalmente, l'Italicum dà a Berlusconi più garanzie di non andare a votare».

Fin qui il pressing sul Cav. La verità, aggiungono i renziani a voce più bassa, è che «l'improvvisa apertura del file dimissioni di Napolitano e successione al Quirinale ha intorbidito le acque e alzato la tensione».

E che se finora «siamo stati noi a farci inseguire, ora siamo costretti ad inseguire Berlusconi».

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