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L'elefante di Napoleone Il viaggio dell'eroe (al contrario)

Donato nel '700 a Luigi XV, morì a Versailles, poi fu imbalsamato e finì a Pavia. Ma sogna casa sua...

L'elefante di Napoleone Il viaggio dell'eroe (al contrario)

Voleva essere libera, e lo sarà.

Gli elefanti vivono di solito fra i 60 e i 70 anni, anche se le cronache riferiscono di esemplari che hanno superato gli ottanta. Shanti, che è un'elefantessa, l'elefantessa di Napoleone, ne ha duecentocinquanta.

Duecentocinquant'anni è una storia lunghissima. Questa.

A metà del '700 i Paesi che in India si contendevano influenza politica e commerciale erano la Francia e l'Inghilterra. Qui, in un grande gioco di conflitti e intrighi fra potenze coloniali e principi locali, un alto papavero delle «Compagnie des Indes», Jean-Baptiste Chevalier, governatore dal 1767 della città di Chandannagar, non lontano da Calcutta, si chiedeva come poter rafforzare la presenza francese nel subcontinente indiano. L'immensa penisola non poteva essere lasciata come terra di conquista agli inglese. E così - in tempi in cui gli animali esotici erano un'arma elegante delle diplomazie - pensò di risvegliare l'interesse della Francia per l'India donando a Luigi XV qualcosa di speciale. Un elefante. Di cui la ménagerie di Versailles - lo zoo della famiglia reale - era privo. Possedere una creatura così favolosa avrebbe dato lustro alla corte. E fu così che lo Chevalier scelse un'elefantessa docile e mansueta di dieci mesi, proveniente dalla valle del Bengala, la pagò al suo cornac - l'addestratore - dodici rupie al mese per sei mesi, e la imbarcò su un vascello, il Gange, destinazione Europa. Era il 12 febbraio 1772.

Novemila chilometri, due oceani, diverse tonnellate di foraggio, una tortura prolungata nel caldo opprimente della stiva e dieci mesi dopo - con una lunga sosta in Bretagna aspettando la stagione estiva per mettersi in marcia - ed eccoci a Versailles, il 19 agosto 1773.

Latitudini innaturali e istinti primordiali. Clima infelice e aria di festa. Ricordi di spazi infiniti e una gabbia dorata nella ménagerie. Eccola la nuova vita dell'elefantessa, la meraviglia dell'Oriente di cui s'innamorò la Francia, la beniamina di Luigi XVI. Amatissima per il suo carattere, suscitò lo stupore e la simpatia della corte. Fu addestrata a stappare bottiglie e rubare i cappellini alla signore, sbalordendo gli ospiti. Avete visto il film Marie Antoinette di Sofia Coppola, del 2006, con Kirsten Dunst? Vi ricordate l'elefante che a un certo punto accarezza Giuseppe II d'Asburgo, il fratello della regina? Ecco...

Mascotte della corte e oggetto di studio dei naturalisti (siamo nella Francia di Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon...), l'elefantessa trascorse in terra francese nove lunghi anni.

Gli elefanti hanno molte qualità: forza, dignità, pazienza. E memoria. «Si dice che la memoria dell'elefante sia imbattibile. Forse il pachiderma non aveva mai dimenticato le pianure del Bengala, il caldo umido, le piogge monsoniche, il barrito dei suoi fratelli lontani. Così, quando non aveva ancora dodici anni, spezzò le catene che di notte la bloccavano dentro la loggia, sfondò la porta e fuggì. Troppo bello era muovere le zampe, niente valeva quanto la libertà». Spezzate le catene nella notte tra il 24 e il 25 settembre 1782, l'elefantina corse per pochi metri, poi cadde in un canale, da cui non seppe risalire, e lì morì.

Sulla vita, l'epica avventura, la morte e la storia politica e scientifica dell'animale che per una breve epoca unì l'India e l'Europa, Paolo Mazzarello, ordinario di Storia della medicina all'Università di Pavia, ha scritto nel 2017 un libro meraviglioso, L'elefante di Napoleone (Bompiani). Già, perché il pachiderma - oggetto di un «grandioso esperimento zoologico» nella Parigi illuminista, diventò il più antico esemplare di elefante tassidermizzato al mondo - fu poi donato nel 1812 da Napoleone Bonaparte, per uno strano valzer politico-dinastico, all'Università di Pavia, fra le più celebri d'Occidente, e fu accolto dal Museo di Storia naturale fondato nel 1771 da Lazzaro Spallanzani, dove ancora oggi è conservato, (ri)battezzato col nome di Shanti.

Dalla storia alla cronaca, il passo è breve, e coraggioso.

Il passo, coraggiosissimo, lo sta facendo oggi Allegra Groppelli, tacchi alti e sguardo lungo, milanesissima, per dieci anni produttore creativo di Mediaset, ramo fiction. Il suo più grande successo è la serie tv per Canale 5 Non smettere di sognare. Non lo ha mai fatto. Ora il suo, di sogno, è riportare Shanti a casa. «È il viaggio dell'eroe al contrario. Shanti spezzò le catene per trovare la libertà. Vorrei ricostruire un'altra catena di amicizia tra l'Italia e l'India, e riaccompagnarla da dove è partita, 250 anni fa».

Sembra una follia, eppure... Eppure il Maharaja Shivraj Singh, principe di Jodhpur, si è già detto felicissimo di accogliere Shanti, in una teca di cristallo nel cortile del Palazzo reale. Jeep-Fiat ha promesso le macchine per gli imponenti trasporti via terra. Air France concederà un'agevolazione sul cargo per il volo transcontinentale, poi Shanti viaggerà da Mumbai a Jodhpur sul treno del Maraja. Mentre l'imprenditrice Megha Mittal si è detta interessata al progetto e la Movie Magic di Guido Borghi produrrà un documentario... Bollywood è vicina.

Ma il traguardo è lontano. «Il progetto di riportare Shanti a casa è straordinario. Ma anche questa è casa sua», è la reazione di Paolo Mazzarello, biografo dell'elefante di Napoleone e presidente del sistema museale di Ateneo, qui a Pavia. «La sua è una delle storie straordinarie della straordinaria storia dell'Università. In linea di principio non avremmo alcuna contrarietà al viaggio di Shanti in India... Ma che non sia di sola andata. Perché invece non portarlo là, esporlo per un periodo, un anno... e poi farlo tornare?». Tanto più che proprio a settembre 2019 (mentre l'elefantessa, che dopo essere stata per 80 anni invisibile al pubblico lo scorso anno è stata perfettamente restaurata, e oggi è temporaneamente imballata nei magazzini museali di Palazzo Botta) aprirà a Pavia la prima ala del grande polo di divulgazione delle Scienze, «Kosmos», che riunisce tutti i musei universitari: «Oltre 600mila pezzi, dalle pietre ai reperti anatomici, dei quali Shanti sarà uno dei più preziosi. Anzi: ne sarà l'oggetto totemico...». «E tanto più che, essendo un bene inalienabile dello Stato italiano, l'elefante non può essere donato a un Paese straniero - aggiunge il Magnifico Rettore, Fabio Rugge -. Certo, però, trovo straordinario che con il suo viaggio di ritorno a casa Shanti possa servire ancora una volta a riannodare i legami tra due mondi lontani, come l'Italia e l'India in questo caso.... La diplomazia dell'elefante è una costante nella storia dei popoli, fin da Carlo Magno e il califfo Harun al-Rashid. Se l'operazione fosse interamente finanziata da sponsor, e con tutte le garanzie di sicurezza del caso, l'Università non avrebbe nulla in contrario all'idea...».

L'idea potrebbe già diventare una proposta ufficiale tra pochi giorni, fine luglio, quando Allegra Groppelli - «Non sono una principessa, né un'animalista, né un'ingenua sognatrice: sono un'emotiva cronica che crede nel valore simbolico del viaggio au rebours di Shanti per riavvicinare due Paesi ultimamente lontani...» - incontrerà il Rettore e il suo staff.

E se Shanti non potrà restare per sempre in India? «Potremo lasciare là la sua anima. La tecnologia oggi non conosce limiti.

Cosa ne dice di un ologramma?».

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