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L'equilibrismo della Bce incoraggia gli speculatori

La Lagarde tra due poli: "Fine del Qe, ma saremo flessibili". Così lo spread può tornare a crescere

L'equilibrismo della Bce incoraggia gli speculatori

Se c'è una cosa che a Christine Lagarde riesce male, come a una casalinga maldestra alle prese col soufflé, è l'arrampicata sugli specchi. Per quanto la presidente della Bce ci metta le unghie, scivola sempre giù. Come ieri, quando ha provato a tenere insieme due poli opposti. Prima confermando come «molto probabile» l'arrivo al capolinea nel terzo trimestre del vecchio quantitative easing di Mario Draghi; poi, sostenendo che di fronte a qualsiasi rialzo degli spread «il principio che applicheremo è la flessibilità» degli acquisti di bond. Ora, eliminare il cane da guardia che finora ha messo la museruola ai differenziali di rendimento, equivale a incoraggiare gli speculatori a picchiare duro sui Paesi più vulnerabili, a cominciare dal nostro. Se ne è avuta subito una prova ieri, proprio a ridosso delle parole della leader dell'Eurotower: la «forbice» tra Btp e Bund tedesco si è allargata fino a 165 punti e i rendimenti del decennale si sono impennati fino al 2,49%.

La strategia ex-post, quella che prevede di intervenire con allentamenti quantitativi solo in caso di surriscaldamento degli spread, sarebbe già di per sé pericolosa. Lo è ancor di più in una fase congiunturale resa delicatissima da un conflitto in corso, in cui evitare la stagflazione (o, peggio, una recessione a braccetto con l'inflazione) sarà tutt'altro facile. Una minore crescita peggiora i conti pubblici, con ricadute su deficit e debito, proprio la miccia che rischia di far saltare in aria gli spread. La fotografia che emerge dalle audizioni di Corte dei Conti, Istat, Bankitalia e Ufficio Parlamentare di Bilancio sul Def è non a caso allarmante. La guerra in Ucraina comporta «un'eccezionale incertezza» su un quadro macroeconomico già segnato dai rincari energetici e dalla nuova ondata della pandemia. E con una certa preoccupazione si guarda anche alla stretta sui tassi all'orizzonte, malgrado la Lagarde non abbia chiaro quando sarà decisa (tra la fine del Qe e il giro di vite c'è un intervallo «che può andare da una settimana a diversi mesi»). «In assenza di interventi discrezionali - dice il presidente della Corte dei Conti, Guido Carlino - si valuta che il Pil crescerebbe in media del 2,9% quest'anno e poi a tassi via via più contenuti». Le stime «evidenziano un impatto frenante della crisi geopolitica di 1,8 punti sul 2022 e di un ulteriore mezzo punto sul 2023». Servono così ulteriori «sforzi di bilancio» ma compatibili con il quadro segnato dal governo con la Nadef.

La Bce sembra quindi aver scelto il momento peggiore per far la faccia feroce. Ma il dado sembra ormai tratto. Sull'irrigidimento delle maglie monetarie le banche centrali hanno fatto fronte comune. Con la benedizione dell'Fmi: per contrastare l'inflazione «dovrebbero agire in modo deciso», afferma il direttore generale del Fondo, Kristalina Georgieva.

La stessa che, solo qualche mese, fa invitava a muoversi con prudenza.

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