Cronache

L'eredità ai bimbi trapiantati "Così rivive nostro figlio"

Gli organi donati dai genitori a quattro minorenni La coppia ha deciso che a loro andranno anche i beni

L'eredità ai bimbi trapiantati "Così rivive nostro figlio"

Il notaio è rimasto sbalordito. Mai sentita prima, anzi neppure mai immaginata, una scelta così totale. E però Anna e Marco non hanno il minimo dubbio: «Questo è il nostro desiderio». Due coniugi, un figlio di dieci anni che non c'è più, il dolore che non se ne va. Mai. E però non si può vivere solo nella prigione dei ricordi. Marito e moglie, carichi di amore e per niente rassegnati al destino, ci hanno pensato a lungo e poi hanno esposto la loro idea al tecnico del diritto: «Luca, il nostro unico bambino, continua a vivere nei ragazzi che hanno ricevuto i suoi organi. Dunque, vogliamo che siano loro, quando sarà, ad ereditare i nostri beni».

Un proposito vertiginoso, quasi inimmaginabile, qualcosa che spiazza e commuove insieme. I genitori di Luca forse non lo sanno ma stanno aprendo una nuova rotta, come i grandi esploratori dell'Ottocento. Solo che qui non ci sono ghiacciai e foreste, ma le profondità dell'animo umano, al confine fra sentimenti, sensazioni e passioni che si possono solo intuire.

«Il notaio - riprende lei - ci ha detto che un ragionamento del genere non gli era mai stato accennato, anzi probabilmente è la prima volta che capita qualcosa del genere in Italia e forse non solo nel nostro Paese. Però non ci dovrebbero essere difficoltà insormontabili».

Una città del Nord. Una famiglia come tante. Il desiderio di non mortificare quella decisione coraggiosa e sofferta: «Il nostro cognome - spiega lei - non lo scriva. Non vogliamo accendere curiosità insane o morbose. Abbiamo solo intrapreso un percorso che sarà, immaginiamo, lungo e difficile».

Luca se n'è andato nel 2009 dopo una malattia breve, feroce e mal diagnosticata che ha lasciato strascichi in tribunale. Sette anni dopo, si volta pagina. Anche se tremano le mani all'idea: «Quel giorno, quel giorno terribile in cui lui volò in cielo, stabilimmo di donare i suoi organi. Ci consolava l'idea che altri bambini avrebbero ritrovato la vita grazie a nostro figlio che invece l'aveva perduta».

Certo, non ci sono compensazioni per un finale di partita cosi repentino e innaturale, Anna e Marco pensarono però di regalare una chance a chi viveva sull'orlo del precipizio. Il cuore. I reni. Il fegato. Quattro interventi. Quattro famiglie che ritrovano, è non è un modo di dire, il sorriso. Ma quello è stato solo il primo step.

Anna si infila nel tunnel del suo cruccio: «Da allora penso spesso a questi ragazzi. Sono diventati grandicelli, me li immagino a scuola, a giocare, in vacanza. Vorrei conoscerli, vorrei abbracciarli, vorrei incontrare i loro papà e le loro mamme, stringere le loro mani, condividere le loro sofferenze e le loro speranze. Penso che anche a loro farebbe piacere, ma ci sono leggi alte come muri, norme che vietano ogni forma di contatto e di rapporto, barriere insormontabili».

Dev'essere strano donare la felicità a chi non può contraccambiare in alcun modo. E non può pronunciare nemmeno un grazie. Esprimere la propria gratitudine. Nulla. Nemmeno una parola, una lettera, una carezza.

«Le notizie - aggiunge lei - arrivano con il gontagocce. Seguendo una procedura lunga e faticosa. Noi contattiamo una dottoressa del Nord Italian Transplant. Lei s'informa e dopo quindici giorni, un mese ci risponde. Di solito con frasi rassicuranti: i bambini stanno bene, tutto procede per il meglio, non ci sono ostacoli». Si sa solo che il cuore è andato a un coetaneo di Luca, il fegato a un piccolo di un anno, i reni a due adolescenti. Punto.

Risposte telegrafiche e insufficienti. E però i coniugi non hanno abbandonato quello spartito così alto e generoso. Di solito, dopo la donazione, un capitolo drammatico si chiude. Qua no: «Dentro di me - prosegue Anna -coltivavo il sogno di tenere vivo quel legame cosi forte e nello stesso tempo sfuggente. Misterioso. Quasi indecifrabile ma reale. Pensa e ripensa, alla fine è saltata fuori una possibile soluzione: i ragazzi entreranno nella partita della nostra eredità. Certo, daremo quel che spetta anche ai parenti, ai nostri nipoti, ci mancherebbe, ma loro hanno un posto speciale nella nostra famiglia. E sapere che potremo contribuire al loro benessere dopo averli aiutati in altro modo, ci conforta. Luca li ha salvati una prima volta e continuerà ad essere loro vicino anche nel futuro».

Ad una condizione che aggiunge un altro elemento forte e suggestivo ad una storia unica: «Noi speriamo di poter conoscere un giorno chi porta con se qualcosa di Luca, ma non diremo mai loro una parola sui nostri intendimenti.

Non vogliamo alimentare speculazioni o altro, quindi scopriranno quel che abbiamo deciso solo quando noi non ci saremo più».

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