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Ma l'esecutivo del presidente è un'ipotesi che resta in campo

Dopo l'esplorazione, oggi Mattarella riceverà la Casellati In caso di stallo pronto a ricorrere al governo d'emergenza

Ma l'esecutivo del presidente è un'ipotesi che resta in campo

Roma - Sembrava un incaricuccio buono soltanto per perdere tempo, un mandato esplorativo a scadenza rapida e dal perimetro assai limitato. Sembrava niente, eppure la mossa del Colle è bastata a riaccendere, almeno per un po', il fuoco sotto la pentola della trattativa. «Mattarella ha fatto intravedere a tutti il governo del presidente e Di Maio e Salvini si sono subito spaventati - dicono a Montecitorio - Settant'anni di Dc non sono passati per caso».

Dal Quirinale nessun commento. Stamattina il capo dello Stato riceverà Elisabetta Casellati che riferirà i dettagli dei suoi due giorni di esplorazione, quindi adesso il silenzio è d'obbligo, anche perché non si sa ancora come finirà. Del resto in questa crisi Mattarella lo spauracchio non ha dovuto nemmeno agitarlo, di un esecutivo di emergenza non ha mai avuto bisogno di parlarne. Semplicemente era sempre lì, durante le consultazioni alla Vetrata, come una possibilità remota, come un fantasma, uno scenario futuro. Poi il mandato al presidente del Senato ha rotto l'equilibrio e lo spettro è diventato realtà. Dopo la Casellati, questo il messaggio in bottiglia, toccherà forse a Fico, con un altro schema che coinvolge il Pd. E se non quaglia neanche pure lui, che altro resta se non un governo del presidente?

Dunque, non sarebbe - o non sarà - il capo dello Stato a imporre una soluzione di emergenza, ma i fatti crudi, cioè i successivi fallimenti dei varie possibili maggioranze politiche ipotizzate dal 4 marzo a oggi. Centrodestra più M5s, Lega-Cinque stelle, grillini con Pd: se e quando tutte le strade politiche si dimostreranno impraticabili, nessuno probabilmente potrà chiamarsi fuori dalla chiamata alle armi di Mattarella, tanto meno parlare di golpe o di mancato rispetto del mandato popolare.

Ma un esecutivo «con tutti dentro» non è certo la prospettiva preferita dai due vincitori delle elezioni. E se l'altra sera Giancarlo Giorgetti ha detto che «non ci piace ma la lega è una forza responsabile», i grillini non vogliono finire nel frullatore dell'omologazione. Da qui la grande paura di Salvini e Di Maio, che li ha portati a riprendere il dialogo. L'accordo però, dopo una prima fiammata, sembra molto lontano, le aperture giudicate insufficienti.

Il Colle osserva gli sviluppi, anzi le convulsioni, dei partiti e non parla. «Al momento non c'è proprio nulla da dire, dobbiamo aspettare l'incontro con la Casellati». Si parla di un terzo giro di consultazioni del presidente del Senato, però è improbabile che il capo intenda concedere altri tempi supplementari. Qualcuno ipotizza persino un preincarico a Salvini: ma non se vedono le ragioni, se la trattativa si è di nuovo arenata. A meno che la Lega non punti a guadagnare tempo, a buttare la palla oltre le amministrative del Molise e del Friuli.

Una strategia che Mattarella non vuole assecondare, convinto che le «urgenze» del Paese richiedano soluzioni veloci. Lo ha detto, interpretando il pensiero presidenziale, Paolo Gentiloni: «C'è bisogno di una rapida soluzione politica che dia certezza del ruolo dell'Italia nella discussione europea».

Il governo di emergenza, appunto.

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