Politica

L'estrema disumanità della legge: non farlo morire nella sua culla

di Valeria Braghieri

S i sono messi in mezzo a una promessa, come l'esattore delle tasse quando infila il piede nella porta. Non hanno fatto mantenere ai genitori di Charlie la promessa che gli avevano fatto di riportarlo a casa. A morire, ma a casa. Nella culla in cui non ha mai fatto in tempo a dormire, dopo il bagno nella vasca in cui non è mai stato immerso, dopo le coccole su un divano in cui non ha mai fatto in tempo a sprofondare.

La morte ha tanti modi di stringere, ma quando diventa la decisione di qualcuno, per qualunque motivo, tra ostacoli morali e immorali, diventa ancora più morte. Smette di essere il «semplice» baratro che divide tutti dal Tutto e si trasforma in qualcosa di persino peggio. Non bisognerebbe mai decidere di una morte. Specie se è quella di un bambino, specie se è quella di tuo figlio, specie se la decisione non è neppure tua.

Staccano la spina a Charlie. E malgrado le suppliche dei genitori, succederà tutto nell'istituto in cui è ricoverato. Nell'aria ferma che c'è negli ospedali: aria che non vuole disturbare. Il cuore spinge i colpi terminali, il sangue resta ingolfato al centro, il fiato esce per non ritornare, spedito via come un saluto. Non gli hanno concesso le cure sperimentali negli Usa e non gli hanno concesso le dimissioni. Gli hanno elemosinato solo una manciata di ore in più, e loro, i genitori di Charlie, le hanno usate in fretta per costruire più ricordi possibile. Cosa ci viene a fare al mondo una creatura, per restarci dieci mesi attaccata a una macchina a litigare solo con la morte?

Con quella madre e quel padre Giovani, biondi, con le facce perennemente tumefatte dalle lacrime e dall'assillo di capire in che punto di mondo e di viaggio si sono inceppati. Con quella madre e quel padre... Intontiti, rallentati dal dolore, a sbattere contro gli spigoli vivi delle cose intorno a quel neonato immobile. A guardarlo, respirargli sopra, piangere e sperare, piegati in due a covare l'attesa. A prendere schiaffi dalla vita.

Ad amarlo con l'intensità di una missione.

Hanno combattuto, dignitosi e composti, malgrado la ruggine nello scheletro. Ma nulla è servito a penetrare l'educata freddezza della burocrazia. Charlie morirà per legge, per scienza. E lo farà come dicevano loro: la legge e la scienza. Ci chiediamo se possa esistere il perdono per non aver concesso tempo a chi non chiedeva altro da te. Per i doni privi di compassione, per le carezze che hai deciso di lesinare, per le ansie provocate, per le parole inascoltate. L'educata freddezza della burocrazia ha dato a due giovani, «orfani» del loro bambino, un nemico permanente da odiare finché avranno vita e quindi rabbia. Per avergli fatto appassire la speranza, per non avergli fatto mantenere una promessa, per non avergli fatto salutare Charlie come avrebbero voluto. Posto che esistano un modo, un divano, una culla per salutare il proprio bambino. Una parola non esiste, intanto. Si è orfani, vedovi..., ma non esiste un termine per questo.

Perché un figlio non lo si sa perdere.

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