Politica

Letta racconta che ha incontrato gli operai, ma non dice cosa gli hanno risposto

Il governo Draghi mette due miliardi in Ilva, ma il Partito Democratico vuole chiuderla

Letta racconta che ha incontrato gli operai, ma non dice cosa gli hanno risposto

Il governo Draghi negli ultimi due mesi ha messo 2 miliardi per l’Ilva di Taranto.

Il primo miliardo, nel decreto aiuti bis, va ad Invitalia per aumentare la quota di partecipazione pubblica in Acciaierie d’Italia, che con Arcelormittal gestisce l’acciaieria.

Il secondo miliardo nel decreto aiuti ter, ma stavolta neppure Draghi ne sapeva nulla, tant’è che interrogato a riguardo da Bloomberg ha risposto “ci sono tante cose in questo decreto, può darsi che ci sia anche un miliardo per Ilva”. Subito dopo ha preso la parola il sottosegretario Garofoli, confermando la bozza. Si tratta di un miliardo del Pnrr dedicato ai settori hard to abate che verrà indirizzato alla società Dri Italia, controllata al 100 per cento da Invitalia, per realizzare, chissa quando, un impianto di preridotto da idrogeno. Che secondo il presidente Franco Bernabè potrebbe essere utilizzato in Ilva fra dieci anni a fronte di uno stanziamento complessivo di 5 miliardi (avendo a disposizione rinnovabili necessarie per 8 milioni di tonnellate di acciaio).

Le posizioni dei partiti

Ma nonostante l’ingente stanziamento, i partiti sia al governo che in campagna elettorale, non vogliono parlarne.

L’unico che cita espressamente Ilva nel programma è Carlo Calenda, prevedendo la riprivatizzazione. Ma la capolista in Puglia Mara Carfagna si è tenuta lontano dal tema durante le iniziative elettorali a Taranto al cospetto del Sindaco e del candidato di Azione nel collegio, che ne chiedono la chiusura guidati da Emiliano.

Il centrodestra ripete “coniugare lavoro e salute”, con l’eccezione di Tajani da sempre schierato anche in Europa in difesa dell’acciaio.

Il vero paradosso è nella coalizione di sinistra, dove si va da Bonelli a Serracchiani che promettono chiusura area a caldo (e quindi di tutto lo stabilimento di Taranto), a Di Maio che chiede l’aumento di produzione.

Enrico Letta da giorni racconta, facendosene vanto, che lui a Taranto è andato e ha parlato con gli operai. Ciò che non dice è quello che gli hanno risposto.

Davide Sperti, segretario Uilm a Taranto, il primo sindacato in Ilva, ci ha raccontato che è stato un incontro elettorale inutile: “gli abbiamo chiesto se la loro posizione è quella del Sindaco e del governatore Emiliano che fanno ricorsi per chiuderla, ma non ci ha risposto. Mentre il Ministro del Lavoro Orlando ha concesso senza firma dei sindacati la cassa integrazione straordinaria sbilanciando i rapporti di forza con l’azienda. Letta non può venire a Taranto e non parlare di Ilva. Se volete chiudere l’area a caldo- hanno chiesto i sindacati al segretario del Pd- ci dovete dire cosa fate di 10 mila lavoratori, se volete decarbonizzare ci dovete dire come, altrimenti se è solo un poltronificio non venite in campagna elettorale”.

A nessuna di queste domande Letta ha risposto, ma alla fine ha ammesso “è vero che ci sono state delle incoerenze, ma se votate gli altri vi danno una soluzione? L’altra volta avete votato i 5 stelle che volevano la chiusura, che avete risolto?”. “Ora la chiusura la vuole il sindaco- gli hanno risposto i sindacati- è dei 5 stelle?”.

E infatti dopo i sindacati, Letta ha incontrato le associazioni ambientaliste e i consiglieri comunali di Taranto che gli hanno ribadito che "tutta la maggioranza che sostiene il sindaco Melucci (di cui il Pd è il primo partito) chiede la chiusura dell'area a caldo".

Taranto come Piombino

Una cosa incompatibile non solo con il paventato piano di decarbonizzazione, ma anche con la permanenza stessa dello stabilimento. E infatti la carta di Taranto presentata da Letta non parla di Ilva, ma di 300 mila posti nella pubblica amministrazione.

Si ripete infatti anche a Taranto lo stesso schema Piombino, con il governo e i partiti che a Roma programmano e finanziano una strategia di interesse nazionale, ma che non riescono a governare i loro sindaci e candidati nei collegi, che per vincere alimentano e cavalcano i populismi da giardino.

Il paradosso è che su Ilva le parole più aperturiste le ha dette il socio del Pd, Di Maio: “l’obiettivo è aumentare la produzione e rimetterla sul mercato, anche se non si è ricucito lo strappo col territorio nonostante gli interventi di adeguamento degli impianti a tutela della salute e dell’ambiente siano stati completati e certificati”.

Il ministro degli esteri è stato anticipato da un intervento alla Camera del suo deputato Gianpaolo Cassese: “Ispra ha stimato che lo scenario emissivo successivo alla realizzazione delle opere previste (quelle del Piano ambientale Calenda, impugnato da Emiliano e sindaco) è significativamente inferiore rispetto allo scenario ante operam, e tutti gli studi che vengono citati e che fanno breccia nell'opinione pubblica fanno riferimento a scenari precedenti e indicano come soluzione non la chiusura dello stabilimento ma l'esecuzione del piano ambientale oggi finalmente realizzato. Come mai non ne parla nessuno - chiedeva alla Camera il deputato dimaiano- e perché si parla ancora di Taranto come di una città fortemente inquinata, quando chiunque abbia visionato i dati pubblici può facilmente affermare il contrario? E perché tutti i politici di ogni livello, anche nella campagna elettorale in corso, continuano a parlare della chiusura delle fonti inquinanti o, ancora, dell'intera area a caldo, quando la situazione è mutata?”.

Perchè questo costringerebbe ad ammettere grazie a chi sono state realizzate quelle opere, e che è quello il piano con cui si può andare avanti raggiungendo sostenibilità economica e ambientale. Ma vanificherebbe anni di narrazione su cui si è costruita una politica locale piagnona e allarmista, da Taranto a Piombino, da Emiliano a De Luca, passando per Melendugno e le trivelle del Gargano, cui oggi i leader bussano per i pacchetti di voti. E in campagna elettorale non conviene. Non è un caso che Letta e Conte nell’ultima settimana si sono trasferiti al Sud, ultima spiaggia per togliere qualche collegio al centrodestra raccattando il voto di scambio col reddito di cittadinanza la cassa integrazione, risultato anche delle politiche nimby che hanno impedito lo sviluppo e il lavoro.

Meglio sprecare altri due miliardi in Ilva senza uno straccio di piano industriale per una fantomatica decarbonizzazione e comprare il gas, e l’acciaio, dalla Russia.

Commenti