Cronache

Lettera di un figlio rimasto senza padre

Mio padre Orlando è scomparso esattamente un anno fa. Un lutto privato, ma che accomuna tutti quanti affrontano il grande mistero della perdita del padre. Il mio è morto a 85 anni a Viterbo, mia città natale, mentre io ero al lavoro a Milano. Come speso succede agli emigrati, non sono riuscito a tenergli la mano negli ultimi momenti. Lui già dormiva, in coma, ma io non ero lì. Quando l'ho visto la sera tardi, era già nella bara, con il vestito e la cravatta migliori; gli splendidi occhi azzurri, non ereditati purtroppo, chiusi per sempre. Sono stato lì a lungo, cercando di capire, al di là del dolore, che cos'era quella cosa che chiamiamo morte. Per Heidegger è una non esperienza per chi se ne va; rimane la morte per gli altri, l'angoscia, l'annuncio ai malati di tumore come mio papà.

L'ultima volta che gli ho fatto la barba, all'Istituto dei tumori dei Milano, dove il grande Prof. Leo ha combattuto per allungargli la vita, ho fatto l'errore di dargli uno specchio. Lì ha capito in silenzio che c'erano ancora solo pochi giorni, il suo futuro era deciso. Non aveva più interesse neppure per gli amati talk politici. Era stato lui, ferroviere e sindacalista, a farmi scoprire la passione per la politica. Pur avendo la quinta elementare leggeva gli editorialisti con più competenza di molti colleghi. Quando ci fu il caso Mesiano, l'unico neo della mia carriera, e su questo giornale scrissi una lettera di scuse, mi cazziò. Ma credette nella mia buona fede: sapeva che non potevo aver seguito un magistrato, avevo solo sbagliato a pubblicare immagini non mie mai viste da me in persona. Io sono un distratto e un cerebrale, mio padre è stato il pungolo delle cose pratiche. Eppure mi ha lasciato un tesoro immateriale: i valori che servono per non perdersi nella selva oscura di un lavoro spietato.

Si è scritto molto sulla scomparsa di Nadia Toffa, che ha commosso tutta l'Italia. Di lei mi rimane soprattutto la celebrazione per la vita fino all'ultimo. Negli ultimi giorni, quando già non mangiava più, portavo a mio padre un gelato. Gli mettevo il bavaglino come i bambini e lo imboccavo, lentamente. Lui aveva piacere di quel freddo nella bocca, io avevo piacere di dargli quell'ultimo piacere. Anche nella fine c'è una sorta di gioia. Quante volte il mio papà mi avrà pulito la bocca sporca di gelato. Anche sul limite della vita, l'amore tra padre e figlio rimane nello scrigno nascosto dell'in-dicibile. Ora sei lassù e mi guardi: io sono nello stesso tempo più uomo e più solo. Mi mancherai sempre.

Ogni tanto ti vedo, nella facce degli altri, o nei sogni, mi piace pensare che vuoi continuare a dirmi le cose importanti così.

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