Economia

L'euro a due velocità accende il dibattito tra gli economisti

La proposta del Nobel Stiglitz divide. Ma per gli esperti una soluzione però va trovata, così non funziona

L'euro a due velocità accende il dibattito tra gli economisti

È giunta l'ora del divorzio consensuale che conduca a un euro forte del Nord e un euro più debole per i Paesi del Sud. La ricetta del premio Nobel, Joseph Stiglitz, ha risvegliato dal clima agostano il dibattito fra economisti e analisti finanziari sullo stato di salute dell'Europa e della sua moneta. Secondo Stiglitz la fine dell'euro non rappresenterebbe quella del progetto europeo, visto che le altre istituzioni resterebbero, così come la libera circolazione delle merci e delle persone. L'eurozona ha dunque un futuro se viene divisa in due.

«Ho apprezzato in particolare il cambiamento nella posizione tenuta dallo stesso Stiglitz rispetto a un paio di anni fa quando aveva già sollevato i problemi della moneta unica ma riteneva ancora possibile aggiustarla», commenta Vladimiro Giacché, presidente del Centro Europa Ricerche. «Ora dice più chiaramente che il giocattolo era difettoso dalla nascita e comunque è rotto. Stiglitz spiega bene come molti hanno abbiano puntato il dito contro una serie di politiche messe in atto dai governi europei, indicandoli come possibili responsabili del fallimento dell'Unione monetaria, ma che ci sono problemi fondamentali sulla struttura dell'eurozona, le regole e le istituzioni che la guidano. Problemi che dovrebbero finalmente indurre ad aprire un dibattito serio sulla sostenibilità della moneta unica, non più viziato dal conformismo politico del più Europa a tutti i costi. L'euro è un ostacolo all'integrazione economica, aumenta la divergenza tra le economie e alimenta rancori. Ecco cosa ho apprezzato nella tesi di Stiglitz: che finalmente abbia detto chiaramente che l'euro, inteso anche come insieme delle regole del trattato di Maastricht, è un problema e va trovato un modo per uscirne senza farsi male», aggiunge Giacché.

Dal fronte degli scettici si leva invece la voce di Giuseppe Russo, direttore del Centro Einaudi: «Il problema della Ue non è la moneta, bensì la crescita. Pensare di dividere la moneta in due non è ragionevole, si arriverebbe a una svalutazione dell'euro del sud verso quello del nord generando inflazione e innescando un trasferimento di ricchezza verso quelle aree che già adesso sono più forti. L'integrazione monetaria c'è e va fatta funzionare, dando vita a una politica fiscale comune e anche a una politica di welfare che faccia passare gli interventi sulla disoccupazione dall'Unione europea unificando appunto gli sforzi. Alcuni servizi potrebbero inoltre avere natura federale».

Assai più severo il giudizio di Claudia Segre, consigliere di AssiomForex, che definisce quella di Stiglitz una «meravigliosa trovata pubblicitaria al libro in uscita» che si inserisce «abilmente nel dibattito post Brexit interno alla Ue. Il problema - aggiunge Segre - è che Stiglitz non ci dice cosa succederebbe dopo la disgregazione. Nè come i governi potrebbero tornare indietro. Così si distoglie solo l'attenzione dall'incapacità di fare le riforme necessarie. Senza dimenticare che il blocco dell'euro salterebbe proprio ora che la moneta cinese è entrata nel paniere delle valute mondiale. Sarebbe un passo indietro mostruoso». Per Massimo Scolari, ex dirigente di Bankitalia oggi presidente di Ascosim (associazione delle società di consulenza finanziaria), «chi teorizza i due gironi della moneta dovrebbe anche immaginare vincoli esterni di finanza pubblica, mi riferisco al debito, nonchè a una politica monetaria rigorosa e restrittiva per reggere le soglie di cambio in cui è concessa una fluttuazione. Abbiamo in Italia un sistema capace di garantire questi vincoli? Non credo. Il punto non è svalutare per esportare di più, ma aggredire il gap di produttività del nostro mercato interno.

Uscendo dall'euro non si risolvono magicamente tutti problemi».

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