Politica

L'Europa da madre a matrigna solo se manda in crisi Renzi

Quando c'era Berlusconi al governo, per la sinistra l'Unione era l'ultima salvezza, ma ora che ostacola il premier è diventata un nemico da attaccare

L'Europa da madre a matrigna solo se manda in crisi Renzi

Acqua ne è passata sotto i ponti, e con essa scorrono detriti. Vero. Nulla è più uguale a com'era. Eppure questa storia dell'europeismo per gli uomini di governo del centrosinistra, strenui alfieri dell'Idea durante ogni governo di centrodestra capeggiato da Silvio Berlusconi, ha del fantastico. Peccato che oggi il Cappellaio Matto si sia pentito e che dal cespuglio pidino sia spuntato un furbetto di troppo, assai simile a quel «leprotto bisestile» (o marzolino) inventato da Lewis Carroll. Del quale, Alice delle Meraviglie preconizza: la lepre marzolina sarà senz'altro la più interessante, e forse essendo maggio non sarà così pazza; almeno non come quando era marzo.Anni luce ci separano dal Romano Prodi che riteneva l'euro «la più innovativa idea politica dopo la fondazione della Ue». L'ex premier che ci portò difilato verso il sol dell'avvenire, dimenticando purtroppo di controllare come avremmo continuato a essere pagati in lire pur spendendo in euro, ha fatto ammenda da un bel po'. Osservatore distaccato ma non troppo, in virtù d'essere stato presidente Ue, Prodi ha già detto a chiare lettere quanto «il Patto di stabilità fosse stupido», quanto l'euro «non fosse un progetto dei banchieri però purtroppo è stato gestito con il criterio dei ragionieri» e quanto la Ue oggi sia sull'«orlo del baratro». Per quanto matto possa sembrare tutto questo, resta la serietà del pentimento, e della contrizione (aiuta il personaggio). Crisi di coscienza contagiosa, considerato che c'è cascato persino Massimo D'Alema. Con la differenza d'una fierezza che si direbbe assai controproducente («Non siamo mai andati in Europa con il cappello in mano», ha dichiarato a inizio 2016), ricordando come fosse sopravvalutato l'euro a 1.936,27 lire, e che peso piuma riscuotessero anche allora i nostri ministri in ambito Ue. Con l'aggravante dei mille insulti piovuti sul tychoon Berlusconi quando «ha provato a pestare i pugni sul tavolo» (l'ha scritto Paolo Mieli qualche giorno fa, dimenticando il rapporto personale che l'ex premier aveva con Putin e con il presidente Usa). L'Unione, per la sinistra, è stata a lungo intoccabile. Tabù assoluto.Il problema è che dopo è stato persino peggio: siamo passati dal cappello in mano di D'Alema al Cappellaio inviato direttamente da Bruxelles per gestire i nostri conti. Ed ecco così Mario Monti difendere ancora oggi a spada tratta la cuccia: «La battaglia sulla flessibilità è un falso obbiettivo, oggi s'è inventata una pericolosa dilatazione del concetto di flessibilità». Con il suo successore, Enrico Letta, il tono del commissariamento è diventato soltanto più giovanile. «Se l'Italia continua così rischia un pericoloso isolamento», dice infatti ancor oggi l'ex premier spodestato, e non ha neppure tutti i torti essendo il nuovo credo europeista del Pd incarnato dal «leprotto bisestile» di cui si diceva all'inizio: Matteo Renzi.Lui è quello che, un po' matto e un po' frettolosamente, sta cercando di prendere in giro l'Europa. Ora in un senso ora nell'altro. Solo che, tanto per parafrasare ancora una considerazione prodiana, «Schäuble non lo puoi prendere in giro. Purtroppo lui può prendere in giro te, perché è forte». Il giovin Matteo lo sa bene, ed è partito come si conviene dalle parti sue, col piede del mercante biforcuto. «L'Europa non è la madre dei nostri problemi...», ebbe a dire fin dalla presentazione del governo in Senato. Dal primo regalo di maglia viola alla Merkel alle mille blandizie, verbali e non, nei confronti di Angela e della Germania (con l'appoggio interessato persino durante la crisi greca e il rifiuto di fare fronte con Spagna e Francia). Peccato che, man mano che i problemi interni non si sono risolti, il tenore delle dichiarazioni andasse peggiorando. Eccoci ai toni guerreschi degli ultimi giorni («Il nostro mestiere non è prendere ordini, è guidare l'Europa; non ci facciamo telecomandare... eccetera). Con l'ulteriore problema, per i suoi ministri e corifei, di seguire le corse a precipizio del leprotto. Ne sono prova l'ultimatum di Padoan, i salti carpiati di Gozi («La Ue sta facendo molto e deve fare di più») e quelli mortali di Gentiloni: «Qualcosa deve cambiare. Ma si può parlare di un'Europa a due velocità, le visioni opposte devono convivere» (stava parlando di più Ue e meno Ue). Per finire ai fondi dell'ex europeista Andrea Romano sull'Unità (titolo: «Il fallimento di Junker»), ai tweet di sfottò di una Bonafè qualsiasi a Weber e alla povera Mogherini che, messa nel cono d'ombra da Renzi per essere lenta nell'adeguarsi, di recente s'è buttata in un azzardato: «Con Renzi sempre dalla stessa parte». Sicuro. Ma sarebbe sempre meglio sapere quale sia con un minimo d'anticipo.

E magari ricordando che in primavera ci sono elezioni, e dopo il leprotto «sarà un po' meno pazzo» (come da profezia di Alice).

Commenti