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La lezione (inascoltata) di Sarno dopo 24 anni: dobbiamo imparare a proteggerci dalla natura

Serve realismo: più che abbattere i centri abitati abusivi bisogna metterli in sicurezza

La lezione (inascoltata) di Sarno dopo 24 anni: dobbiamo imparare a proteggerci dalla natura

Un'altra montagna è franata provocando 137 vittime. È successo a Sarno nel maggio del 1998. Ora, dopo un quarto di secolo, la magistratura ha scritto la parola fine. Già nel 2013 il sindaco Gerardo Basile venne condannato a cinque anni per disastro colposo, per non aver ordinato l'evacuazione dei luoghi. Adesso quella omissione è stata ritenuta sufficiente dalla Suprema Corte per ritenere il Comune responsabile dei fatti. Pertanto i soldi che lo Stato centrale ha erogato alle vittime dovranno esser ripagati dall'ente locale. Sì, una disputa tra la mano destra e la mano sinistra, ma sorvoliamo.

Impiegare un quarto di secolo per chiudere una vicenda giudiziaria meriterebbe attenzione, se non fosse inutile prestargliela, poiché come sappiamo non c'è alcuna volontà né forza né coraggio per riformare dalle fondamenta il più malandato e improduttivo dei poteri dello Stato. Quindi, mettiamoci comodi da qui al 2046 per le sentenze su Ischia e occupiamoci delle cose reali, partendo da una domanda: se la sentenza di Sarno avesse impiegato non 24 anni ma 24 mesi, le povere vittime di Ischia avrebbero avuto una chance di salvarsi? Purtroppo no. Quel sindaco è stato condannato nove anni fa per omissione di evacuazione. Eppure un altro ex sindaco ha tempestato di PEC le amministrazioni su Ischia ed è rimasto inascoltato. Questo la dice lunga sulla sensibilità degli amministratori ai segnali deboli (ma anche fastidiosi, ammettiamolo). Non diversa da quella dimostrata da chi, alle prime avvisaglie di Covid, passeggiava sui Navigli o chiudeva la stalla non prima di aver consentito a migliaia di prendere un treno per andare a infettare le famiglie.

Tornando alle calamità idrogeologiche, cos'abbiamo davvero imparato dalla tragedia di Sarno? Cosa vogliamo imparare da Ischia? C'è il solito tormentone sull'abusivismo, con la vaga idea che coincida con la casa di proprietà, quindi poco popolare, e con la cementificazione, dunque poco ambientalista. Forse per questo viene cavalcato tanto dai rossoverdi, i quali faticano a capire che la casa di proprietà in Italia è popolare, molto popolare, e che molti abusi sono la finestra in più o la stanzetta nel sottotetto.

A parte questo, il nulla. Eppure, proprio in questi giorni stiamo festeggiando il successo di una grande opera, il Mose, creata per proteggere dalla natura il più bello e prezioso insediamento umano. Sì, proteggere dalla natura. Dirlo non è una bestemmia. Siamo umani e viviamo in edifici. Non possiamo tornare su alberi e palafitte né farci trascinare da acqua e fango ogni volta che al meteo gli garbi di farlo.

Ma c'è di più. Realisticamente, se una casa è in luogo a rischio, discuti della casa, ma se a rischio c'è un intero insediamento, come a Casamicciola o alle pendici del Vesuvio, discuti del rischio. Seriamente, non puoi spostare un paese. Allora lo devi proteggere. Rafforzando il terreno? Piantando alberi, non perché siano green ma perché frenano gli smottamenti? Alzando barriere e formando invasi? Con altre opere, per quanto ciclopiche? Noi italiani siamo orgogliosi della nostra ingegneria, che negli anni Sessanta ha letteralmente sollevato i templi di Abu Simbel in Egitto, per non farli sommergere dalle acque della diga di Assuan, che ha prodotto l'energia per modernizzare il Paese. Allora impiegammo quattro anni.

Oggi, gli ambientalisti scenderebbero in piazza contro quella diga.

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