Liguria, Puglia, la rossa Toscana È tutto il Paese che dice basta
27 Ottobre 2016 - 08:47Nel 2016 un vero boom di proteste dei cittadini contro la distribuzione dei migranti. Ma restano inascoltate
«Siamo un paesino pulito, abbiamo la nostra quotidianità, non deve essere intaccata da estranei», dicono a Gorino. «In una realtà così piccola, come si fa a integrare 50 immigrati, tutti maschi?», fanno eco ad Atessa, Chieti, mentre arriva un pullman di migranti eritrei. Ma la domanda è la stessa da Abano (Padova) a Laureto (Brindisi), da Genova a Reggio Calabria. Provvedimenti prefettizi, bandi di accoglienza, ex caserme ed ex hotel trasformati in hub. E ora anche requisizioni. Tutto molto spesso senza preavviso secondo una strategia del fatto compiuto che dovrebbe aggirare le proteste. Che invece nell'anno degli sbarchi record - il 10% in più rispetto al 2015 - si sono moltiplicate da nord a sud. Dalle coste l'emergenza ha fatto irruzione nella profonda provincia italiana a decomporre le certezze e la fiducia nelle ripetute promesse di sicurezza e integrazione. Si alzano le barricate, non più solo metaforiche. «Quella non è l'Italia», ha detto il ministro Alfano. Ma prima di Gorino il 2016 ha visto molte altre strade sconosciute a stampa e riflettori riempirsi di piccoli comitati carichi di slogan e striscioni. Mamme, pensionati, lavoratori, solo un brusio per il Viminale rispetto al rumore delle violente manifestazioni No Borders. Erano 500, al grido di «Verona ai veronesi», quelli scesi in corteo due giorni fa a Castel d'Azzano, dopo che ai proprietari dell'hotel Cristallo, 4 stelle, è giunta la stessa lettera ricevuta dalla titolare dell'ostello di Gorino. Un decreto di requisizione provvisoria delle stanze da fine ottobre a fine gennaio.
A Pietrafazzana, in provincia di Chieti, i cento abitanti credevano di aver scongiurato l'assegnazione di 50 migranti, la metà della popolazione, quando a marzo si erano radunati nel «Comitato per la serenità del territorio» davanti alla prefettura. Adesso il rischio è che ne arrivino cento, con un rapporto residenti-migranti uno a uno. Ed è la schizofrenica applicazione della regola dei 2,5 ogni mille abitanti, la bibbia nei piani di accoglienza del ministero, a trasformare un'iniziale diffidenza in esasperazione.
Se la rivolta agostana di Capalbio - perla marittima della sinistra radical chic che in piena stagione estiva si era opposta all'arrivo di decine di profughi - insegna che l'accoglienza non ha bandiera politica, quella di poche settimane fa fuori da una ex base militare ad Abano, la città delle Terme, invia un messaggio alle prefetture: «Basta» con la «soluzione caserma», dove il provvisorio diventa definitivo e numeri elevati concentrati in territori minuti incrinano la convivenza. L'esempio c'è già, nelle vicine Bagnoli e Cona, con 1.252 profughi per novemila abitanti. Sono giorni che pure nel quartiere di Archi, alla periferia di Reggio Calabria, la tensione è alle stelle. Alcuni episodi di molestie riferiti dai residenti sul centro che ospita 300 minori non accompagnati, lasciati senza regole né percorsi di integrazione, sono benzina sul fuoco. A Laureto, frazione nella provincia di Brindisi, i cittadini prima di accettarli, hanno negoziato gli arrivi in una struttura della Curia chiedendo una maggiore presenza di «forze dell'ordine». A Monastir, Cagliari, una ex scuola penitenziaria destinata all'accoglienza è stata devastata da un incendio doloso. E fumogeni hanno acceso Fiumicino, Roma, la scorsa estate, per dire no a 50 migranti, mentre a San Nicola La Strada, Caserta, i residenti bloccavano con cassonetti e transenne il traffico: troppi altri 100 migranti, con 200 già accolti in un ex albergo.
Ad Aulla, Massa Carrara, 30 famiglie si sono rivolte a un avvocato contro la sistemazione in una palazzina vicino alle loro abitazioni.
Delle dure contestazioni di agosto di residenti e commercianti della via dello shopping di Genova è rimasto nulla: i primi migranti sono arrivati in via XX Settembre.