Politica

L'inchiesta divide gli ultrà del Palazzo: "I deputati juventini non salutano più"

Onorevoli pro e contro i bianconeri. Boccia: «Basta insinuazioni»

L'inchiesta divide gli ultrà del Palazzo: "I deputati juventini non salutano più"

«Da quando abbiamo iniziato questa inchiesta, in Transatlantico ci sono deputati che non mi salutano più», si lamenta Angelo Attaguile, lista «Salvini per il Sud», segretario della commissione parlamentare Antimafia. I deputati che non lo salutano più sono tutti juventini. E l'inchiesta è ovviamente quella sui rapporti tra tifoserie ultras e criminalità organizzata, che coinvolge i supporter di molte squadre di A e B, ma che ha il suo piatto forte nel capitolo dedicato alla Juve, unico grande club sospettato di essere sceso a patti con ambienti malavitosi.

Che l'indagine dell'Antimafia stia creando malumori in Parlamento lo conferma, d'altronde, la dichiarazione rilasciata ieri dal deputato del Pd Francesco Boccia, leader del club bianconero di Montecitorio: una sparata ad alzo zero contro i colleghi della commissione, accusati di avere trasformato il Parlamento in «un luogo in cui rimbalzano non notizie ma insinuazioni» rischiando di arrecare «danni incalcolabili» a una società quotata in Borsa, cioè la Juve. Clima da curva, insomma, anche alla Camera.

Che quelle raccolte dall'Antimafia a carico della Juventus siano solo «insinuazioni», peraltro, appare difficile. Chi ha avuto modo di leggere gli atti segretati, le cinquemila pagine provenienti dall'inchiesta della magistratura torinese sulle cosche di Rosarno al nord, garantisce che gli elementi sono assai concreti. Non solo quelli che attestano rapporti quasi familiari tra dirigenti di primo piano del club bianconero e esponenti delle famiglie calabresi sotto inchiesta, ma anche il fatto più delicato e controverso, l'incontro diretto tra Andrea Agnellli e Rocco Dominello, fratello di un presunto esponente della ndrangheta. «Dominello è già perfettamente inserito nel mondo juventino - scrive la Squadra Mobile di Torino - vantando contatti diretti ed amicali non solo con dirigenti (da Marotta, direttore sportivo del club, a D'Angelo, security manager) ma anche con calciatori ed allenatori, all'epoca Antonio Conte». In un suo interrogatorio, è stato lo stesso Dominello a raccontare ai pm dii essere arrivato ad incontrare personalmente anche il presidente Agnelli: è questo l'incontro, tenacemente smentito dalla Juventus, che ha portato il procuratore della Federcalcio a mettere sotto inchiesta, insieme tre manager bianconeri, lo stesso Agnelli.

Il primo velo ad alzarsi sulle carte segretate sarà proprio quello dell'indagine della Federcalcio, che il procuratore federale Giuseppe Pecoraro si è impegnato a chiudere nel giro di dieci giorni. Per Agnelli, Marotta e gli altri dirigenti juventini indagati il rischio è un procedimento per avare contribuito «con finanziamenti o altre utilità» all'attività dei club ultras che secondo i pm di Torino erano la longa manus della 'ndrangheta.

Prima ancora della chiusura dell'indagine Fgci, un passaggio decisivo della vicenda sarà costituito dalla audizione di Andrea Agnelli davanti alla commissione parlamentare Antimafia. É un invito che il presidente juventino non potrà rifiutare, perché la commissione ha gli stessi poteri della magistratura. Non sarà un passeggiata, perché il nipote dell'Avvocato dovrà convincere l'Antimafia che l'incontro di cui si parla nelle carte non c'è mai stato.

E magari anche spiegare perché i suoi manager di fiducia si dessero del tu con gli uomini dei clan.

Commenti