Politica

L'ingerenza dei pm a digiuno

Nei tribunali di Milano e Monza invece i magistrati digiunano per lo ius soli. Ma così vogliono solo sostituirsi al legislatore

L'ingerenza dei pm a digiuno

Mahatma Gandhi digiunava contro l'imperialismo inglese e la segregazione degli intoccabili. Marco Pannella si asteneva dal cibo contro la partitocrazia e chi voleva censurarlo su democrazia, amnistia, detenuti. Sul diritto alla vita e la vita del diritto. Nei tribunali di Milano e Monza invece i magistrati digiunano per lo ius soli. La formula è quella che va per la maggiore: si procede a staffetta, digiuno di 24 ore, effetto depurante, come consigliato dai nutrizionisti. L'idea, promossa dal senatore Luigi Manconi e diffusa in oltre 900 scuole italiane (dove mandate i vostri figli, per intenderci), mira all'approvazione della legge per la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati.

Al di là del merito dell'iniziativa sulla quale si fronteggiano opinioni opposte gli entusiasti della cittadinanza per tutti e quanti invece ritengono che un ciclo di studi quinquennale non sia condizione sufficiente -, non si capisce a che titolo taluni magistrati abbiano deciso di schierarsi apertamente in una vicenda squisitamente politica. L'iniziativa di un senatore della Repubblica è legittima e sacrosanta, desta invece perplessità l'astensione dal cibo che ha già unito decine di magistrati e avvocati. L'intento sarebbe quello di «dare visibilità e sostegno all'allargamento del diritto di cittadinanza, in linea con il diritto alla pari dignità sociale sancito dalla nostra Costituzione», così si legge in una nota firmata dal giudice Ilio Mannucci Pacini e dall'avvocato Valentina Alberta. Si dà il caso che il primo presieda la terza sezione penale del tribunale di Milano, e interrogato sull'opportunità della propria esposizione egli ha replicato: «Pensiamo che queste siano questioni di parte, invece coinvolgono tutti i cittadini. Quella del magistrato che deve stare fuori della società è una visione antica». Eppure il vintage si porta eccome. Un tempo i magistrati si appellavano alla «resistenza costituzionale» per condurre battaglie extragiudiziarie, oggi invece la parolina magica, che ha animato pure l'ultimo congresso dell'Anm, è «supplenza»: in tribunale si affermano i cosiddetti «nuovi diritti» che i parlamenti nazionali non regolano. Nel caso di specie, però, la supplenza, che fa pendant con l'inerzia del legislatore, c'entra ben poco. L'impegno militante di alcune toghe sullo ius soli, o su quello che sarebbe più appropriato definire ius culturae, somiglia piuttosto a un'indebita ingerenza in un procedimento legislativo tuttora in corso. Chiamatela pure «giuristocrazia». Non servono più le «sentenze creative» per stiracchiare le norme esistenti e inventarne di sana pianta.

Il magistrato sembra volersi sostituire al legislatore sottraendogli, alla luce del sole, la prerogativa esclusiva del legem dicere. Montesquieu non si sente bene, e neanche noi che vorremmo poter contare sul profilo di imparzialità che si conviene a una toga. Forse siamo una sparuta truppa di romantici idealisti dal momento che nessuno si scompone né spende una parola sul palese cortocircuito. Come se fosse normale.

Perché in fondo è divenuta la norma.

Commenti