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L'ingiustizia di Stato è servita: le vittime pagano i ladri

Chi ferisce o uccide per legittima difesa deve risarcire i delinquenti. Ecco le storie, dal benzinaio al carabiniere

L'ingiustizia di Stato è servita: le vittime pagano i ladri

Il carabiniere, le guardie giurate, il benzinaio, il tabaccaio. Tutti condannati a risarcire i delinquenti che avevano cercato di derubarli o addirittura di ucciderli. È l'albo nero dell'ingiustizia che premia chi vive di violenza.

Un'ingiustizia con i bolli di Stato, perché imposta da altrettante sentenze di tribunali in tutta Italia. Il Giornale ha raccontato ieri la storia di Enrico Balducci, proprietario di una catena di distributori di benzina a Bari, cui un giudice ha posto sotto sequestro 170mila euro a fronte di una richiesta da un milione avanzata dai familiari del rapinatore che aveva fatto irruzione in uno dei suoi distributori. Ma non è un caso isolato.

Il caso più clamoroso è quello di Ermes Mattielli, l'anziano robivecchi di Arsiero, in Veneto, che, spaventato dall'irruzione di due ladri di rame nel suo deposito, ha sparato nel buio, ferendoli. Il giudice l'ha condannato a pagare 135mila euro a favore dei due, entrambi rom con una lunga lista di precedenti. E così il furto sventato è riuscito in tribunale: Mattiello è morto due anni fa lasciando un paio di immobili destinati a finire in eredità a chi aveva cercato di derubarlo, per pagare il risarcimento. C'è poi il caso del tabaccaio del Padovano, Franco Birolo, anche lui condannato in primo grado a pagare 325mila euro ai parenti di un 23enne moldavo che aveva cercato di rapinare il suo negozio di tabacchi. Pochi giorni fa la sentenza è stata ribaltata in appello e Birolo è stato prosciolto, ma l'ultima parola non è ancora scritta. Perché sono possibili ricorsi e anche perché la legge prevede, oltre alla provvisionale stabilita in sede penale, la possibilità di un risarcimento per il «danno da perdita parentale» da stabilire con una causa civile, come nel caso di Balducci.

Una legge con il buco, nel senso che la norma prevede i parametri per determinare il risarcimento pesando «l'intensità del vincolo familiare, della convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza idonea a comprovare l'intensità del legame», spiega l'avvocato Fabio Gaudino. La circostanza che la perdita sia strettamente collegata al fatto che il caro estinto se ne andasse in giro armato a fare rapine come occupazione abituale non conta: se la vittima della rapina viene condannata perché ha oltrepassato i limiti della legittima difesa la famiglia del rapinatore può chiedere il risarcimento. «Nell'attuale assetto normativo non c'è scampo a questo paradosso - spiega Gaudino al Giornale - il giudice ha il potere di agire secondo equità ma non contro la legge». Dunque se il giudice penale può almeno distinguere le responsabilità caso per caso, e può avere lo scopo di frenare la giustizia fai-da-te, qual è lo scopo di premiare i parenti di un rapinatore riconosciuto? E spesso a reclamare ricchi risarcimenti sono proprio i parenti di delinquenti abituali. «Se almeno fossimo condannati a risarcire lo Stato ci sarebbe una logica, ma così...», protesta Balducci, che ha fondato un'associazione di vittime di reati violenti, Nessuno tocchi Abele.

A trovarsi nella condizione di dover pagare ladri e rapinatori o i loro parenti, ci sono perfino membri delle forze dell'ordine, come l'appuntato dei carabinieri Mirco Basconi, che sparò contro le ruote di un Suv rubato che cercava di investire i suoi colleghi ad Ancona. Un 24enne albanese, Korab Xheta, venne ucciso da un proiettile di rimbalzo e il militare si beccò un anno per eccesso di legittima difesa. Il suo caso è ancora aperto e il giudice ha rinviato alla causa civile il risarcimento. Che potrebbe ammontare a 2,5 milioni.

Cifre minori di quelle che hanno dovuto pagare due guardie giurate, Mauro Pelella e Marco Dogvan in situazioni simili. O Antonio Monella, imprenditore che ha pagato duramente per aver sparato a un ladro. Il presidente Mattarella l'ha poi graziato. Ma è solo una toppa, l'ingiustizia resta intatta.

E nessuno se ne cura.

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