Politica

L'Isis usa i ragazzini per uccidere 25 prigionieri siriani

La mattanza sul palco di un antico teatro di Palmira Un gruppo di 13enni ha sparato in testa agli ostaggi

Un altro video dell'orrore, tanto per continuare a ricordare al mondo - ammesso che abbia voglia di interessarsene - di che pasta sono fatti i macellai dell'Isis. Le immagini, crude e violentissime, arrivano da Palmira, la città nel centro della Siria caduta nello scorso maggio nelle mani del sedicente Califfato. Comprensibilmente ci si è molto preoccupati del destino di distruzione cui rischiavano di andare incontro gli inestimabili tesori artistici custoditi nell'area archeologica dell'antica città che quasi duemila anni fa fu ricco nodo carovaniero e capitale di uno Stato che rivaleggiò con l'Impero romano. Ma la sorte dei prigionieri degli jihadisti è passata colpevolmente in secondo piano.

A ricordarcela hanno appunto provveduto nel loro ormai classico stile sanguinario i cineasti dello «Stato islamico». Le immagini, che sarebbero state girate alla fine di maggio nel teatro romano di Palmira, mostrano un gruppo di 25 uomini, soldati siriani caduti prigionieri di un nemico che non solo ignora il concetto di pietà, ma evidentemente anche quello di rispetto, sia pure applicato al supplizio dell'avversario. Si vedono dunque questi disgraziati non solo soccombere ai colpi di pistola dei loro giustizieri, ma vivere i loro ultimi istanti nell'umiliazione. Questo perché a dar loro la morte non è un plotone di esecuzione, ma dei ragazzini dell'età apparente di 13-14 anni, che uno dopo l'altro sparano loro in testa davanti a una folla di uomini seduti in platea. Nel montaggio del video, prima di mostrare le uccisioni, l'Isis propone immagini della presa di Palmira e della prigione della città, che risalgono al 20 maggio scorso. Non è la prima volta che ragazzini giovanissimi, in perfetto stile hitleriano, vengono utilizzati dall'Isis per giustiziare prigionieri: in due occasioni precedenti erano stati diffusi filmati in cui bambini sparavano uccidendo due russi e un arabo-israeliano accusati di essere spie.

Mentre dunque nello «Stato islamico» si fa strage di uomini e dell'umanità, la giustizia italiana procede all'interrogatorio di quanti anelavano a unirsi a quel mondo da film dell'orrore travestito da paradiso islamico in terra. Ieri sono stati interrogati da un giudice delle indagini preliminari i familiari di Maria Giulia Sergio, la giovane convertita italiana che già nello scorso ottobre ha raggiunto il Califfato con il marito. Padre, madre e sorella della fanatica che si è ribattezzata Fatima non avrebbero taciuto di fronte alle domande. Sembra che l'uomo abbia anzi reagito manifestando meraviglia per l'arresto, avvenuto giovedì scorso a Inzago, nel Milanese, nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Milano su una rete di terrorismo internazionale, della «famigliola» che era sul punto di seguire le orme della figlia fino in Medio Oriente. E che abbia anche sostenuto le «ragioni» in merito a quel viaggio organizzato per raggiungere Maria Giulia e il marito jihadista albanese Aldo Kobuzi.

Si è avvalsa invece della facoltà di non rispondere la zia di Kobuzi, Arta Kacabuni, arrestata in Toscana e ora in carcere a Bollate presso Milano.

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