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L'islam condanna la strage con tanti "se" e troppi "ma"

Nessuna presa di posizione netta dai musulmani in Italia. Un film già visto con le Br negli anni '70

L'islam condanna la strage  con tanti "se" e troppi "ma"

Le condanne ufficiali alla fine arrivano, ma sempre con pelosi distinguo che ricordano i vecchi slogan nostrani «nè con le Br, né con lo Stato» oppure «le sedicenti Brigate rosse». La comunità musulmana in Italia ancora una volta ha perso l'occasione di protestare in massa denunciando che esiste un terrorismo di matrice islamica da debellare con ogni mezzo. La strage di Dacca è stata il tributo di sangue italiano più alto dopo l'attentato di Nassiryah.

Davide Piccardo del Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano (Caim) ha dichiarato che «il nostro pensiero va alle vittime della sopraffazione e dell'ingiustizia, agli innocenti morti nelle guerre e per mano del terrorismo» esprimendo il cordoglio per le vittime di Dacca. Nelle guerre sono compresi anche i caccia alleati che bombardano le bandiere nere in Siria ed Iraq, per non parlare di quelli russi, israeliani o egiziani. E ancora, in occasione della fine del Ramadan a Milano, dove ha condannato la strage pronunciando i nomi delle vittime italiane, Piccardo riprende un cavallo di battaglia della stragrande maggioranza degli imam che predicano in Italia. «Questo viene definito terrorismo islamico, ma penso vada rivista la sua definizione» sottolinea il rappresentante del Caim. Un ritornello sui terroristi che non sono veri musulmani simile alle «sedicenti Brigate rosse», definizione coniata per far pensare che sotto sotto erano fascisti. I tagliagole di Dacca sotto sotto sono agenti della Cia, provocatori sionisti o chissà cosa, che appositamente sgozzavano chi non conosceva i versetti del Corano? «Nel mondo islamico italiano non c'è alcun movimento di autocritica che accetti il fatto che i terroristi uccidono in nome di Allah citando il Corano. E non si rendono conto che negare questa evidenza provoca l'islamofobia» sostiene Valentina Colombo, esperta di Islam. E poi ci sono le condanne di serie A e quelle di serie B, in ritardo, più silenziose e zeppe di distinguo. «I Fratelli musulmani di casa nostra hanno subito condannato la strage di Istanbul a spada tratta. Su Dacca diciamo che ci hanno pensato sopra» fa notare Colombo.

A differenza dei tre attentati di fine Ramadan in Arabia Saudita, soprattutto nel luogo santo di Medina, che ha sollevato l'ira potente ed immediata di tutto il mondo islamico cominciando dall'università Al Azhar del Cairo, sede della dottrina. Non risulta che la stessa forza sia stata riservata per le vittime italiane e giapponesi di Dacca.

A Pisa sono scesi in piazza lunedì una ventina di bengalesi con l'imam e gli esponenti istituzionali del Pd locale. Pochini anche se avevano cartelli con le scritte «Non a nome nostro» o «Noi non siamo dell'Isis».

A Monfalcone, vicino a Trieste, dove vivono 2mila bengalesi (7% della popolazione), la stragrande maggioranza condanna il terrorismo. Il giornale locale il Piccolo, però, ha pure trovato chi sostiene che «il partito al governo non è stato eletto in modo democratico. Ha ucciso i musulmani che protestavano per i loro diritti. Il più grande terrorista è il governo».

A soli 30 chilometri aveva un negozio di bigiotteria nella città balneare di Grado il bengalese Mahamud Hasan espulso dall'Italia cinque giorni prima della strage di Dacca per aver aderito in rete allo Stato islamico facendo proselitismo. La Taqiyya, dissimulazione, è la norma fra le comunità islamiche bengalesi. Uno dei suoi esponenti si faceva fotografare in campagna elettorale a Milano con il senatore Pd, Emanuele Fiano, in maniche corte, vicino ad una donna senza velo e faccia da bravo ragazzo. In un'altra foto è in rigoroso abito islamico in mezzo a due ceffi, che non sembrano proprio musulmani moderati. E domenica la comunità bengalese di Milano vuole commemorare le vittime di Dacca. Peccato che con il suo capo Abu Hanif Patwery sia scesa più volte in piazza per difendere i leader del Jamaat e Islami, fuorilegge in Bangladesh, incarcerato o impiccati dal governo per crimini contro l'umanità. Le nuove leve del terrorismo a Dacca fanno riferimento a questi «martiri».

«Penso che vogliano prenderci per i fondelli - spiega al Giornale una gola profonda musulmana - Perché non chiedono di chiudere la madrasse in Bangladesh o non la smettono di mandare soldi in patria per la causa?».

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