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L'Italia in deflazione, non accadeva dal '59

di L' Italia è tecnicamente in deflazione perché ad agosto i prezzi al consumo sono diminuiti dello 0,1 su base annua. Non succedeva dal 1959. Si potrebbe asserire che per avere una deflazione occorrono due mesi consecutivi di calo dei prezzi. Ed in effetti così è per quanto riguarda i prezzi dei beni di consumo che, a differenza di quelli dei servizi, sono scesi ad agosto e luglio dello 0,6% su quelli degli stessi mesi dello scorso anno. I servizi sono rincarati (in particolare dei trasporti), ma non abbastanza per evitare che l'indice di agosto segnasse -1. In un certo senso, i consumatori si possono rallegrare che i prezzi scendano, anziché aumentare, perché possono comprare di più con la stessa spesa o spender meno per gli stessi acquisti. Ma il loro potere di acquisto è aumentato solo in apparenza, a livello nazionale, in quanto i prezzi sono scesi perché la domanda di consumo langue e la domanda di beni e servizi per l'investimento va ancora peggio.

Il prodotto nazionale non aumenta, tende a diminuire o a ristagnare se l'economia non si avvita verso il basso. La discesa dei prezzi in deflazione è il segnale di tale avvitamento, che va evitato. Infatti, la deflazione non comporta che i costi di produzione sono diminuiti a causa di un aumento di produttività. I prezzi calano perché le imprese sacrificano i profitti e tagliano la manodopera per evitare il peggio.

Deflazione e disoccupazione vanno di pari passo, come i cavalieri dell'Apocalisse. Il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 220mila, aumenta in luglio del 2,2% rispetto al mese precedente (+69mila) e del 4,6% su base annua (+143mila). Il tasso di disoccupazione è pari al 12,6%, in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 0,5 punti nei dodici mesi. In particolare è aumentata la disoccupazione giovanile. Il decreto degli 80 euro in busta paga di Renzi, che doveva far crescere i consumi e rilanciare l'economia non solo non è servito a questo scopo, ha avuto l'esito opposto.

Ciò perché il governo ha aumentato le imposte sugli immobili e sulle rendite finanziarie per finanziare questo bonus. E ciò induce le famiglie ad accumulare di più e spender di meno per contrastare la diminuzione del valore dei loro piccoli patrimoni.

I valori dei beni patrimoniali si sono ridotti della stessa percentuale di cui sono state aumentate le imposte sul loro rendimento. Se il rendimento netto atteso dai capitali è il 3%, i capitali valgono 33 volte il loro reddito(3 per 33=100). E ogni imposta che intacca il reddito del capitale di 1 ha un effetto negativo sull'economia pari a 33 volte 1. La manovra fiscale di Renzi era deflazionista. Ma le colpe maggiori le ha la Germania. Essa ha frenato Draghi, capo della Bce che voleva rilanciare l'economia europea.

I tedeschi sostenevano che l'economia europea nel complesso era in ripresa e che le misure di Draghi potevano favorire i paesi che non pareggiano il bilancio e non fanno le altre riforme economiche. Ma il varo delle misure di Draghi non riduce l'incentivo a fare le riforme, perché i paesi che le fanno ne possono fruire di più. Chi ha un più grosso recipiente può prendere più acqua dalla fontana. Il decreto «sblocca Italia» è una aspirina di tre miliardi per investimenti ripartiti in tre o quattro anni. Ed è irto di cavilli burocratici.

Le riforme che servono sono tre. Primo: dare pieno vigore ai contratti aziendali di produttività e seppellire l'articolo 18 che frena la flessibilità del mercato del lavoro generando cavilli legali. Secondo: tagliare le spese per poter ridurre le imposte. E terzo, ma non ultimo: rottamare il dirigismo amministrativo e il giustizialismo giudiziario.

Presto.

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