Politica

Ma l'Italia degli inglesismi ha dimenticato la classicità

di Daniele Abbiati

Una volta i vecchi professori ammonivano, mulinandoti sotto il naso l'indice nodoso sporco d'inchiostro: «Studia il latino, ragazzo! Ricorda: il latino apre la mente!». Adesso i professori non parlano quasi più, e men che meno ammoniscono. Al suono della campanella schizzano via dalle aule più rapidamente dei loro allievi. In vece loro parlano i manager e i «cacciatori di teste».

Mulinando sotto il naso dei futuri Zuckerberg la stilografica da tremila euro (che beninteso usano soltanto per firmare contratti milionari, visto che hanno sempre qualcuno che scrive per loro) sussurrano: «Il latino ti dà l'open mind». La battuta è la stessa, cambia soltanto l'interprete. Tradotta in termini utilitaristici, la battuta significa: «il latino fa curriculum». Certo, gli stage ad Harvard o alla Silicon Valley restano «tanta roba», come si usa dire nella nostra nuova lingua più o meno viva, l'italiese, però soltanto chi al suo cursus honorum avrà aggiunto, semel in anno, un certamen chessò Taciteum o Vaticanum potrà bagnare i suddetti nasi alla concorrenza e aspirare alla poltrona in pelle umana di fantozziana memoria.

La notizia, in sostanza, è questa: la patria di Virgilio non si vergogna più del latino, al contrario, si sta adoperando per (ri)appuntarselo al petto come una medaglia al valor culturale. C'è una vaga aria da excusatio non petita, accusatio manifesta, in tutto ciò. L'excusatio del «torniamo alle origini» e l'accusatio dell'«abbiamo sbagliato strada». Certo che l'abbiamo sbagliata, la strada, correndo dietro soltanto alle sirene inglesi perché erano, e sono, le più disponibili, le più trendy, le più carine. Così facendo abbiamo lasciato indietro le matrone di stampo classico, che saranno anche pesanti, logorroiche, arzigogolate, ma che hanno dalla loro l'esperienza. In latino (maccheronico) suonerebbe «senex pullum pulmenti bene facit», cioè «gallina vecchia fa buon brodo».

Forse il peccato originale di questo divorzio non consensuale fra l'Italia e il latino si è consumato... a messa. Cioè con la messa fra parentesi della messa tridentina, celebrata appunto in latino. Con l'acqua benedetta passata sotto i ponti dei fedeli in saecula saeculorum, si è gettato anche il puer, che come tutti i puer era innocente. Di lì in poi, ed eravamo nel 1969, mica al tempo delle guerre puniche, il latino è scivolato dalla culla alle sale da ballo, alle latin dance, appunto. Era la concecutio dei temporum. Ed era, pensandoci adesso, qualcosa di sgrammaticato.

Leibniz diceva che «natura non facit saltus». Tuttavia per il latino potremmo fare uno strappo alla regola e muover qualche passettino indietro. Anche sfruttando l'ambizione dei ragazzi che mettono il latino nei loro curricula. Che poi sarebbe curriculum al plurale.

Un pluralis maiestatis, of course.

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