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L'Italia si è svenduta a Berlino. Ma così è destinata all'irrilevanza

Renzi avrebbe dovuto appoggiare l'idea di Hollande: un governo e un Parlamento comune per un'Europa più forte. Invece il premier ha preferito accontentarsi di un piatto di lenticchie

L'Italia si è svenduta a Berlino. Ma così è destinata all'irrilevanza

Se l'Europa non cresce, l'Europa muore. Se non cresce in maniera equilibrata, l'Europa è finita. E in Europa Renzi ha sbagliato tutto. Ha basato i suoi rapporti con i partner sulla subalternità, con il bel risultato che l'Italia non solo non conta niente nell'Unione, ma che, senza un cambiamento significativo, vale a dire quello che proprio un governo italiano forte avrebbe potuto determinare, anche il vecchio Continente è destinato all'irrilevanza nel mondo. Gli errori di Renzi sono stati tanti, ma, da ultimo, il presidente (si fa per dire) del Consiglio ha sbagliato perché non si è accorto, o ha fatto finta di non accorgersi, che nella seconda metà di luglio, dopo la tempesta greca, nell'Unione europea sono state lanciate due proposte, opposte, di cambiamento: quella francese, annunciata da Hollande domenica 19 luglio, in occasione delle celebrazioni per i 90 anni di Jacques Delors; e quella tedesca, fatta trapelare la settimana successiva, sempre di domenica, dal settimanale Der Spiegel , nata da un'idea del ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble.

È emersa, quindi, nell'ultimo mese (ma lo sapevamo anche prima), l'incapacità di Renzi di essere statista e protagonista; la sua mancanza di strategia; la sua mancanza di visione. Tutti elementi che condannano non solo l'Italia, ma l'Europa intera all'impotenza e all'implosione. Nel merito, di cosa si tratta? La prima proposta (quella francese) punta a ridare una dimensione politica all'Eurozona, con un governo e un Parlamento comuni. La seconda (quella tedesca) prevede, invece, la creazione di un super ministro delle Finanze dell'Eurozona, che gestisca un «bilancio separato», magari finanziato da un'eurotassa.

Noi stiamo con la proposta francese, che ha il pregio di cambiare le carte in tavola nell'Ue: non più l'imbuto voluto dalla Germania, fatto di controlli sempre più stringenti; cessioni progressive di sovranità; «compiti a casa»; asfissia dei paesi con alto debito pubblico e difficoltà di governance ; ricatti politici e dei mercati finanziari, ma una nuova unione in cui davanti a tutto c'è la politica e la responsabilità.

Purtroppo, però, di tutto questo che bolle in pentola, Renzi probabilmente non ha voluto prendere atto. Non ci ha capito nulla o, ed è ancora più grave, non ha saputo decidere: se fare asse con la Francia, e magari la Spagna, oppure obbedire anche in questa occasione ad Angela Merkel, in cambio di un piccolo piatto di lenticchie. Di un po' di flessibilità e di possibilità di fare deficit, per comprarsi consenso. Ma c'è altro. Il ruolo che l'Italia avrebbe potuto giocare, era ancora più rilevante: 1) integrare la proposta di Hollande con un grande piano di investimenti, un new deal europeo, da almeno mille miliardi (tre volte l'attuale piano Juncker), freschi, approfittando dei bassi tassi di interesse, che rimarranno tali almeno nel medio periodo, e utilizzando la garanzia della Banca europea degli investimenti (Bei). 2) Determinare l'implementazione simultanea, in tutti i paesi dell'Eurozona, dei cosiddetti contractual agreements , vale a dire accordi bilaterali tra i singoli Stati e la Commissione europea, per cui le risorse necessarie per l'avvio di riforme volte a favorire la competitività del «sistema paese» non rientrano nel calcolo del rapporto deficit/Pil ai fini del rispetto del vincolo del 3%, bensì rientrano nell'alveo dei cosiddetti «fattori rilevanti» per quanto riguarda i piani di rientro definiti dalla Commissione europea per gli Stati che superano la soglia del 60% nel rapporto debito/Pil. 3) Attraverso questo stesso strumento dei contractual agreements , la Germania ridurrebbe finalmente il suo surplus delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, generato da un eccesso delle esportazioni sulle importazioni, nei confronti dei propri partner europei. In termini tecnici, la Germania giungerebbe finalmente a reflazionare, vale a dire a spendere in tutto o in parte il proprio surplus, come, tra l'altro, le chiede da anni la Commissione europea, attraverso la riduzione della pressione fiscale, e stimolando la domanda interna, quindi i consumi, gli investimenti, i salari, con un conseguente aumento delle importazioni e, quindi, più crescita, per sé e per gli altri.

Ma come funzionano i contractual agreements ? Ciascun governo definisce, sulla base delle caratteristiche e delle specificità della propria nazione, le riforme da implementare al proprio interno, per 1-2 punti di Pil; adotta simultaneamente le riforme definite; beneficia degli effetti positivi delle proprie riforme; beneficia, altresì, degli effetti positivi delle riforme adottate dagli altri Stati, attraverso l'aumento delle esportazioni. Risultato: ogni singolo Stato tornerà a crescere, con regole nuove, moderne, competitive. L'intera eurozona farà lo stesso. Un gioco a somma positiva. Ne deriverebbe un «piano Hollande integrato», con un rilancio politico dell'Eurozona, attraverso, come abbiamo visto, un Parlamento e un governo comuni; ma anche un rilancio economico, attraverso il new deal degli investimenti; e attraverso riforme, sincroniche e sincronizzate, in tutti i paesi, con una strategia coordinata, e, finalmente, la reflazione della Germania.

A questo riguardo, un po' di teoria non guasta. Non dimentichiamo, infatti, che, come ha recentemente ricordato anche il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, oggi un minimo sforamento del rapporto deficit/Pil oltre il 3% espone gli Stati alla pubblica deplorazione, senza possibilità di appello, mentre il surplus della bilancia commerciale viene considerato elemento di virtuosità. Al contrario, mentre un rapporto deficit/Pil eccessivo produce conseguenze tendenzialmente solo per il paese che lo genera, i surplus commerciali di alcuni paesi hanno effetti negativi devastanti sulle economie di tutti gli altri paesi dell'area monetaria unica. Mentre con le monete nazionali, infatti, a un aumento eccessivo del surplus commerciale di un paese seguiva sempre la rivalutazione della sua moneta, che significava un riequilibrio quasi automatico della bilancia commerciale; con la moneta unica lo Stato che consegue il surplus gode dei benefici derivanti da quest'ultimo, mentre il costo della rivalutazione della moneta ricade su tutti gli altri. In un'ottica di Europa solidale ed efficiente, pertanto, diventa prioritario correggere quest'ultimo comportamento, piuttosto che concentrarsi solo sul rapporto deficit/Pil. Ne deriverebbe un cambio di prospettiva nelle regole europee, perché l'eccesso di virtù (surplus) finisce per produrre più danni dell'eccesso di deficit.

Il risultato delle tre linee di cambiamento sopra esposte sarebbe un incremento della produttività dei fattori produttivi in tutti i singoli paesi, in tutti i settori delle loro economie. Incremento che, se realizzato in modo sincronizzato, produrrebbe un aumento complessivo della produttività del «sistema Europa». Il vecchio Continente diventerebbe così più competitivo anche rispetto al resto del Mondo. Con più efficienza, più crescita e più benessere. Insomma, ripetiamo, un gioco a somma positiva.

L'esatto contrario di quanto avvenuto finora in Europa, dove l'aumento della produttività e della competitività soltanto di alcuni paesi, sia pur meritevoli, come la Germania, ha finito per produrre divergenze dannose e progressive per l'intero «sistema». Un gioco, quello dell'Europa tedesca che ha dominato fino ad oggi, dunque, a somma negativa, all'origine dei differenziali di produttività e quindi della scarsa competitività dell'insieme dell'Eurozona. Con la strategia dei contractual agreements , delle riforme, della reflazione in Germania e degli investimenti, unita a un piano d'azione tutto politico, quale quello proposto dal presidente francese Hollande, l'Europa, dunque, non solo uscirebbe dalla crisi, ma troverebbe uno slancio che dalla creazione della moneta unica in poi non ha mai avuto, diventando competitiva anche rispetto alle altre economie mondiali. E migliorerebbero pure le performance della Bce e dei suoi quantitative easing , perché la politica monetaria tornerebbe a trasmettersi pienamente all'economia reale.

La fine dell'egemonia tedesca, quindi, come catalizzatore di una nuova fase dell'Europa. Con più crescita, più solidarietà, più ruolo geostrategico nel mondo. E fine anche dei populismi e degli estremismi. L'Italia ha in mano il joystick per scegliere di giocare la partita giusta. Non perda quest'occasione.

Purtroppo, però, temiamo che il grande nostro esperto nazionale di Playstation, Matteo Renzi, scelga ancora una volta in maniera sbagliata e si accontenti del solito piatto di lenticchie ad uso e consumo della sua sete di potere.

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