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Immigrazione, gli italiani sono sempre più diffidenti

Tre su dieci favorevoli ai respingimenti: "Non possiamo accoglierne ancora". La metà per accettarne solo "una parte prefissata"

Immigrazione, gli italiani sono sempre più diffidenti

L'atteggiamento degli italiani nei confronti degli immigrati che giungono nel nostro paese sta diventando sempre meno tollerante. Si accresce la diffidenza e, in certi casi, l'ostilità. È un trend che si era già rilevato nel settembre scorso su queste stesse colonne. Da allora gli orientamenti si sono fatti ancora più severi. Ad esempio, in risposta al quesito che chiede in che misura si debbano accogliere coloro che giungono, più o meno legalmente, nel nostro territorio si era allora registrata una quota del 26% che dichiarava in modo drastico che «bisogna respingerli tutti perché l'Italia non può accoglierne ancora» e si era sottolineato come questa percentuale si fosse incrementata rispetto a quanto era emerso negli anni precedenti. Oggi la quota dei contrari in assoluto all'accettazione degli immigrati che giungono da noi si è ulteriormente accresciuta, sino a raggiungere il 27% (fonte sondaggio Eumetra Monterosa su un campione rappresentativo della popolazione italiana sopra i 18 anni). Si è anche incrementata la diffusione della posizione tendente comunque a limitare l'entità dell'afflusso, proponendo di «accettare solo una parte prefissata di immigrati e respingere gli altri in eccesso».

Dal 46% registrato a settembre, questo orientamento si è progressivamente esteso sino a giungere oggi al 50%. È dunque questa l'opinione fatta propria dalla maggior parte degli italiani. Ed è invece diminuita drasticamente la popolarità dell'orientamento più «aperto» al flusso degli immigrati, quello che sostiene che «bisogna accogliere tutti gli immigrati che arrivano, perché spesso sono perseguitati nei loro paesi». Dal 26% registrato a settembre, i sostenitori di questa opinione sono diminuiti al 19% di oggi. La diffusione dell'ostilità verso gli immigrati è causata da una pluralità di fattori. Hanno certamente influito la crisi economica e le conseguenti difficoltà occupazionali (la maggioranza degli italiani ritiene che, a parità di competenze, i nostri connazionali vadano preferiti agli immigrati nell'assegnazione dei posti di lavoro), ma il ruolo maggiore nella crescita delle perplessità verso gli immigrati è stato certamente svolto dalla reazione agli episodi di questi ultimi mesi che hanno visto protagonisti immigrati di cultura islamica, dalle stragi di Parigi sino a quanto è accaduto di recente a Colonia. L'impatto emotivo sulla popolazione di questi accadimenti è stato enorme e ha finito con il condizionare la percezione collettiva degli immigrati in generale.

Non solo per la paura che essi siano violenti. Ma anche a causa del propagarsi della convinzione, fondata o meno, che tutti coloro che provengono da un contesto sociale islamico abbiano l'intenzione o quantomeno il desiderio di imporre anche a società occidentali come la nostra le loro usanze, le loro tradizioni e la loro cultura in generale. In altre parole, quanto è accaduto a Parigi, a Colonia e in altri luoghi è parso a molti (più del 40%) italiani l'azione non tanto e non solo di individui isolati, quanto la manifestazione di una tendenza collettiva, da parte degli immigrati di origine islamica, ad obbligare, anche in violazione alle leggi vigenti nei vari paesi, l'occidente ad adeguarsi alla loro cultura. È vero dunque che il 50% del campione intervistato da Eumetra Monterosa ritiene che «sono pochi gli immigrati islamici che vogliono imporci la loro cultura e il loro modo di vivere». Ma l'altra metà è composta da ben il 41% (con una accentuazione tra i più anziani, le persone con più bassi titoli di studio, i pensionati e le casalinghe) che pensa invece che «gli immigrati islamici cercano di imporci il loro modo di vivere» e il 9% che dichiara di non avere un'opinione al riguardo. L'ostilità crescente verso gli immigrati, dunque, si concentra prevalentemente sugli islamici, cui viene attribuita da una parte consistente e, quel che più conta, crescente negli ultimi mesi della popolazione la volontà di far prevalere la cultura dei contesti di origine, in contrasto con quella del paese ospitante. Queste percezioni e questi timori evocano naturalmente il dibattito sulla possibilità e sulla desiderabilità di una società «multiculturale» che si è riacceso proprio in questi giorni.

Di recente è intervenuto al riguardo Galli della Loggia sul Corriere, criticando il concetto stesso di multiculturalità e i tentativi di attuarla. Lo studioso, citando anche la Cancelliera Merkel, sottolinea come l'integrazione degli immigrati debba comportare necessariamente «l'adozione di fatto dei tratti caratteristici della cultura del paese ospitante», della «visione del mondo» che la permea, ciò che sarebbe in contraddizione con l'idea stessa di multiculturalismo. Altri invece hanno sostenuto che l'integrazione e la convivenza tra diverse culture è possibile e già esiste in molti contesti. È stato citato al riguardo l'esempio di numerose comunità di religioni e etnie diverse, già presenti pacificamente anche nel nostro paese, senza suscitare particolari problemi. Il dibattito è aperto.

Ciò con cui tutti sono d'accordo, comunque, è la necessità di esigere il rifiuto della violenza, il rispetto reciproco (e quindi la rinuncia all'imposizione agli altri dei propri valori) e l'osservanza rigorosa delle leggi della nazione ospitante.

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