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L'ostruzionismo del premier per minare il nuovo governo

I fedelissimi di Renzi: coi nostri numeri alle Camere possiamo sabotare il successore e votare al più presto

L'ostruzionismo del premier per minare il nuovo governo

Cento fedelissimi a Montecitorio, un gruppetto compatto di senatori a Palazzo Madama: i conti che fanno i renziani sono questi. E servono ad un obiettivo ben preciso: avere la forza numerica per staccare la spina a qualunque governo venga dopo quello di Matteo Renzi. E costringere ad elezioni anticipate.

Nel day after della batosta, il ragionamento che si fa nelle file renziane è semplice: quel 40% di Sì alla riforma è un potenziale bacino elettorale «tutto e solo di Matteo Renzi», come riconosce un autorevole ministro non renziano. Un bacino elettorale, come ricordava ieri in un tweet Luca Lotti, che corrisponde a quello della vittoria alle Europee del 2014. Anzi, si fa notare, sono anche di più in cifre assolute, visto che nel referendum i voti a favore della riforma sono stati un paio di milioni più delle Europee. Dunque, prima si va all'incasso nelle urne, con Renzi saldo in sella alla segreteria del Pd che fa le liste elettorali, meglio è: «Più attendiamo, più ci logoriamo», dicono. Ovviamente il premier si guarda bene dall'avallare esplicitamente il piano, e si limita a dire: «I tempi sono fondamentali, non possiamo consentirci errori». Ed esclude di volersi dimettere da segretario del Pd nella Direzione convocata per domani. Intanto si valutano le ipotesi per la successione a Palazzo Chigi, e accanto al nome di Padoan emerge quello del ministro degli Esteri Gentiloni, renziano di ferro, che garantirebbe una durata breve del governo in caso di necessità.

Gli ostacoli su questo percorso di guerra non sono pochi: la legge elettorale da modificare («Ma si può fare in poche settimane, anche prima della sentenza della Corte a febbraio», dicono nel Pd), l'ostilità di Mattarella al voto anticipato e la forza d'inerzia del grande partitone dell'attesa, quello che vuole arrivare alla fine della legislatura (e possibilmente nel frattempo liberarsi di Renzi) e che ha ampie propaggini in casa Pd. Massimo D'Alema se ne fa portavoce esplicito: «Se Renzi si dimettesse dalla segreteria del partito dovremmo fare il congresso ora, in un clima avvelenato: resti lì e aspetti la fine naturale della legislatura». Una ricetta perfetta per il «rosolamento» a fuoco lento del giovane leader odiato dall'ex premier. Che però non è il solo a pensarla così: ieri Peppe Fioroni, esponente di quell'area centrista della maggioranza Pd che fa capo a Dario Franceschini (il cui nome è tornato a circolare come possibile premier) spiegava ad importanti dirigenti renziani: «Convincete Matteo a dimettersi da segretario, così lo preserviamo e quando si andrà ad elezioni nel 2018 sarà il nostro candidato». Lo scopo è identico, anche se i passaggi sono diversi: D'Alema non vuole il congresso perché l'intera minoranza Pd ne è terrorizzata. La scena di D'Alema e Speranza che, nella notte di domenica, festeggiavano entusiasti la sconfitta del proprio partito ha suscitato un'ondata di sdegno nella base Pd, che si è tradotta in una infinita serie di lettere e messaggi di protesta e spesso anche di insulti ai dirigenti bersanian-dalemiani: «Traditori, siete peggio dei 101 di Prodi», era il tono generale. Insomma, come ammette un esponente della minoranza, «Se andassimo al congresso anticipato, Renzi ci asfalterebbe: il 25% del 2012 ce lo sogneremmo, i nostri sarebbero i primi a non votarci». Quanto ai renziani, il congresso lo vogliono fare e stravincere.

Ma siccome «servono tre mesi per celebrarlo», se si vuol riuscire ad andare al voto in primavera, lo si rimanderà.

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