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Luigi incassa mezza fiducia ma i duri e puri non mollano

I gruppi graziano il leader però pongono condizioni Carelli: ministri da rivedere. E nel mirino finisce Casalino

Luigi incassa mezza fiducia ma i duri e puri non mollano

Di Maio gioca l'asso pigliatutto del voto su Rousseau, parte del gruppo dirigente del M5s continua con l'assedio. E il capo politico, durante l'assemblea dei parlamentari, per uscire dall'impasse ha chiesto ai suoi un «voto di fiducia» sul governo gialloverde.

Quella che viene riferita al Giornale da chi era presente è una riedizione dello «stacchiamo la spina o no?» riferito dal vicepremier allo stato maggiore durante il vertice al Mise di lunedì. Incassato, nel momento in cui scriviamo, un sostanziale via libera da parte di deputati e senatori al prosieguo dell'avventura con la Lega. Con condizioni. Tra cui quella posta dal deputato Emilio Carelli, che ha proposto a Di Maio di scegliere «una nuova delegazione ministeriale». In parole povere, alcuni cambi nella squadra dei ministri pentastellati. Nonostante il fuoco di fila degli ultimi giorni, è un capo politico abbastanza risoluto quello che si presenta davanti alla squadra degli eletti. «Sono felice che siamo tutti qui perché siamo una famiglia», ha detto Di Maio suscitando l'applauso dei presenti. «Anche io ho una dignità e negli ultimi due giorni mi sono sentito dire di tutto - si è sfogato - a me non me ne frega nulla della poltrona, non sto attaccato al ruolo di capo politico». Un confronto proseguito sulla necessità di «avere una nuova organizzazione», perché «il M5s non perde mai, o vince o impara». Lo benedice pure Di Battista: «Scusa se non sono riuscito ad aiutarti». Dopo le polemiche di martedì e le dimissioni da vicecapogruppo al Senato è rientrato nei ranghi anche Primo Di Nicola che ha confermato «piena fiducia a Di Maio», aggiungendo «ha fatto un miracolo». E addirittura un deputato ha chiesto a Di Maio di ritirare il voto su Rousseau, richiesta comunque rimasta minoritaria.

Ma proprio nella giornata del «processo» al vicepremier da parte del gruppo parlamentare, è continuata la ridda di dichiarazioni di autorevoli esponenti grillini con l'obiettivo di costringere Di Maio al passo indietro. Il più duro è stato Gianluigi Paragone, che in mattinata, ospite di Agorà su Rai3, ha annunciato: «Siccome non voglio passare per traditore, consegnerò le mie dimissioni da parlamentare a Di Maio e sarà lui a decidere cosa farne». Le dimissioni di Paragone sono arrivate dopo un'intervista al Corriere della Sera, in cui l'ex conduttore ha recapitato l'avviso di sfratto al capo politico usando parole fin troppo esplicite: «Se vuoi fare Superman, devi dimostrare di esserlo, a 32 anni non puoi fare il capo politico della prima forza del Paese, il vicepremier, il ministro dello Sviluppo Economico e il ministro del Lavoro».

Tra le voci che chiedono il passo indietro c'è anche la capogruppo in Regione Lazio Roberta Lombardi, mentre il senatore e presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra ha proposto una «cabina di regia» formata da 5 persone. C'è invece chi preferisce attaccare il cerchio magico, sempre più ristretto, che ha consigliato il vicepremier da vicino in questi mesi. Nell'occhio del ciclone c'è lo strapotere dello Staff comunicazione, ora guidato da Rocco Casalino e Augusto Rubei. Con 15 deputati che, durante la resa dei conti, hanno chiesto di estromettere i comunicatori dallìassemblea. Al summit, blindatissimo, presenti anche l'ex deputato Alessandro Di Battista e il presidente della Camera Roberto Fico.

Dopo i travagli degli ultimi giorni, alla fine viene trovata la quadra, riassumibile in un accordo così raccontato: «Luigi resta capo politico, si va avanti con il governo e vareremo una segreteria politica».

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