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Luigi s'inventa ministro: minacce alla Whirlpool. E mette il bavaglio a Fico

Di Maio all'azienda: "Vi tolgo i soldi di Stato". Poi cerca di silenziare l'opposizione interna

Luigi s'inventa ministro: minacce alla Whirlpool. E mette il bavaglio a Fico

Nel day after del messaggio del presidente del Consiglio Giuseppe Conte al Paese, Luigi Di Maio si ricorda di essere ancora il ministro del Lavoro. Ma soprattutto si accorge della vertenza Whirlpool: lo stabilimento napoletano chiuderà spedendo a casa 420 lavoratori. Troppo impegnato a difendere la sua poltrona nell'esecutivo, messa in pericolo dallo scontro con la Lega, solo ieri, dopo svariati appelli e mobilitazioni, il vicepremier incontra al Mise operai e sindacati per trovare una soluzione. Però dal vertice non arrivano rassicurazioni per gli operai. Ma la solita propaganda grillina.

Di Maio parla quasi fosse un operaio in odore di licenziamento e non il ministro del Lavoro e Sviluppo economico: «Io non mollerò mai. Con il Movimento 5 stelle al governo non si prendono in giro né lo Stato né i lavoratori! Grazie alle donne e agli uomini della Whirlpool arrivati al Mise da Napoli». Nessuna prospettiva ma tante parole al vento: «O entro sette giorni portano la soluzione per lasciare aperta quell'azienda e far lavorare 450 persone oppure noi gli togliamo i soldi che hanno preso dallo Stato. Gli blocco quelli che gli stavamo per dare e gli tolgo quelli che gli abbiamo dato con alcuni strumenti che dovevano servire a creare più lavoro in più occasioni per le imprese. La cifra solo per iniziare è di circa 15 milioni di euro».

Di Maio ritorna dunque a fare il ministro. Anche perché sul piano politico, il leader grillino cala le brache con Matteo Salvini e fa retromarcia su tutto. Il capo politico dei Cinque stelle ordina allo staff della comunicazione grillina di imporre il silenzio stampa ai parlamentari vicini all'ala di Roberto Fico. Ogni commento al veleno rischia di rimettere in gioco la tregua con la Lega. Di Maio teme lo strappo definitivo, che gli costerebbe la poltrona. Del Di Maio spavaldo, forte e determinato, visto in campagna elettorale non c'è più traccia. Dunque, si presenta con il cappello in mano e la testa coperta di ceneri per implorare il perdono leghista. È una resa, accompagnata da dichiarazioni al miele verso il Carroccio.

La giornata del vicepremier si apre con l'intervista al Corriere della Sera in cui accetta tutte le condizioni del ministro dell'Interno, pur di evitare la crisi di governo. Dalla flat tax all'autonomia: il vicepremier si trasforma nel signor sì. E anche sulla Tav, argomento su cui i Cinque stelle sembravano su una linea dura, Di Maio molla: «Se ne sta occupando il premier. Confidiamo molto nel suo operato, ha aggiunto, sono certo che si troverà la soluzione migliore per gli italiani». Ammettendo poi, che non lascerà mai la poltrona al ministero dello Sviluppo economico.

Con il passare delle ore, le posizioni di Lega e Cinque stelle si riavvicinano. Di Maio tira un sospiro di sollievo e ritorna ad attaccare la stampa: «Al di là delle ricostruzioni dei giornali e dei retroscena che ormai non legge più nessuno. E il dato è che, se si lavora insieme, si trova sempre una soluzione. Questo è quello che vuole il Movimento 5 stelle: lavorare per il Paese, spediti, col piede sull'acceleratore, perché questo è il solo governo che ha la forza di farlo». L'intesa sul decreto Sbloccacantieri tranquillizza Di Maio ma la tensione resta alta. Sia con la Lega che all'interno del Movimento.

Da un lato, annuncia una riorganizzazione dei Cinque stelle, dall'altro prova a silenziare le voci critiche che arrivano dall'ala ortodossa.

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