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L'ultima follia: tutte le cariche si declinano al femminile

Il nuovo regolamento dell'università di Trento usa un unico genere per indicare sia uomini sia donne. In nome dell'inclusività

L'ultima follia: tutte le cariche si declinano al femminile

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Non c'è fine alle follie del politicamente corretto che hanno ormai invaso le università italiane, non bastavano asterischi, schwa, occupazioni e censure varie, l'ultima surreale novità arriva dall'Università di Trento. Il consiglio di amministrazione dell'ateneo trentino ha infatti approvato un nuovo regolamento in cui, in nome dell'inclusività, tutte le cariche vengono declinate solo al femminile anche se riferite ad uomini. Non più il rettore, il preside, il professore ma la presidente, la rettrice, la segretaria, le componenti del Nucleo di valutazione, la direttrice del Sistema bibliotecario di Ateneo, le professoresse, la candidata, la decana utilizzando il cosiddetto «femminile sovraestesteso» usato per riferirsi sia a donne, sia a uomini. Nell'incipit delle cinquanta pagine del nuovo regolamento adottato dall'università si legge in un apposito comma: «i termini femminili usati in questo testo si riferiscono a tutte le persone»(Titolo1, art. 1, comma 5). Il rettore (possiamo ancora chiamarlo così senza essere accusati di non essere inclusivi?) Flavio Deflorian ha difeso la decisione definendola di «valenza particolarmente simbolica» e assunta «anche per mantenere all'attenzione degli organi di governo la questione».

Il numero uno dell'ateneo trentino ha spiegato come è nata la scelta durante la stesura del nuovo regolamento «abbiamo notato che accordarsi alle linee guida sul linguaggio rispettoso avrebbe appesantito molto tutto il documento. In vari passaggi infatti si sarebbe dovuto specificare i termini sia al femminile, sia al maschile. Così, per rendere tutto più fluido e per facilitare la fase di confronto interno, i nostri uffici amministrativi hanno deciso di lavorare a una bozza declinata su un unico genere».

Deflorian ha poi aggiunto: «Leggere il documento mi ha colpito. Come uomo mi sono sentito escluso. Questo mi ha fatto molto riflettere sulla sensazione che possono avere le donne quotidianamente quando non si vedono rappresentate nei documenti ufficiali. Così ho proposto di dare, almeno in questo importante documento, un segnale di discontinuità. Una decisione che è stata accolta senza obiezioni».

Con l'obiettivo di contrastare l'utilizzo del «maschile sovraesteso» e di «contrastare il sessismo» nelle Università non ci si rende ormai neanche più conto di sfociare nel ridicolo facendo perdere di credibilità un'istituzione seria come l'università e rendendo macchiettisti temi delicati. Ciò è ancor più vero nel momento in cui la decisione di adottare il genere femminile per «promuovere un uso non discriminatorio della lingua italiana nei vari ambiti della vita quotidiana della comunità universitaria» avviene anche per non utilizzare asterischi e schwa diffusi in altri atenei. In parole povere per evitare una follia linguistica se ne introduce una ancor più assurda.

È la caratteristica della cultura woke che spinge sempre più in alto l'asticella di ciò che è accettabile e diventa ancor più paradossale nella variante alla amatriciana delle università italiane che vogliono scimmiottare i campus americani.

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