Economia

L'ultima ipotesi sulle pensioni: taglio del 30% e via 4 anni prima

L'esecutivo vuole più flessibilità ma è caos su chi dovrà pagare per l'esodo anticipato. E tutto il pacchetto potrebbe slittare al 2016

L'ultima ipotesi sulle pensioni: taglio del 30% e via 4 anni prima

Prendere un po' di fiato sulle pensioni per non sovraccaricare la legge di Stabilità. Rinviare la riforma che dovrebbe introdurre più flessibilità rispetto alla Fornero e girare parte delle risorse previste su misure simboliche, come il contrasto alla povertà. Poi, per non scontentare nessuno, abbozzare una riforma previdenziale che tenga dentro la parola flessibilità, ma che non costi niente allo Stato.

Il governo farà delle scelte sulle pensioni la settimana prossima. Nel senso che le proposte dovranno essere messe nero su bianco tra Palazzo Chigi e il ministero dell'Economia, e vagliate dal premier Matteo Renzi. Ma la tentazione sempre più forte è rinviare tutto il pacchetto. Possibile che non entri nella Finanziaria del 2016 e venga inserito di una delega dai tempi lunghi.

Perdono quindi quota le ipotesi più costose. Ci sono quelle proposte dal senatore Pd Cesare Damiano e dal sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta. Cioè un'uscita anticipata da 66 a 62 anni con 35 anni di contributi, a fronte di mini penalizzazioni, al massimo del 2% per ogni anno di anticipo. Costo stimato, nove miliardi di euro Impossibile, così come Quota 100, dalla somma dell'età anagrafica e degli anni di contribuzione. Il massimo che può concedere il Tesoro è qualche decina di milioni di euro. Non miliardi.

Per questo nei giorni scorsi, l'unica ipotesi restata in piedi era di fatto quella del «prestito». Declinata in modo da non costare niente alle casse pubbliche.

In sintesi, il lavoratore decide di uscire in anticipo e l'azienda si fa carico di uno «scivolo» che consiste nel versare gli anni di contribuzione che mancano al raggiungimento dei requisiti del ritiro. Nelle ipotesi di qualche settimana fa il costo era ripartito tra datore e Stato. È una sorta di prepensionamento, ma con regole più rigide, ad esempio sull'età visto che dovrebbe partire sopra i 60 anni.

La stessa azienda, oltre ai contributi, dovrebbe poi farsi carico di un anticipo da corrispondere al lavoratore in uscita per integrare la pensione decurtata, che verrà restituito, a rate, quando il pensionato avrà raggiunto i requisiti pieni. In sostanza si attinge alla liquidità delle aziende. Materia caldissima e poco praticabile, come ha osservato ieri il segretario generale della Cisl Annamaria Furlan. In certe situazioni, ha spiegato, funziona, «ma l'Italia è un Paese di piccole e medie imprese e la vedo complicata da applicare». Il rischio è aggravare i problemi di credito che gravano sulle imprese italiane.

Il fronte pro riforma, che nel governo resta forte e gode dell'appoggio (un po' intermittente) del premier Matteo Renzi, non si è dato per vinto e nelle ultime ore ha rilanciato l'opzione donna, estesa anche agli uomini. In sintesi: pensione anticipata in cambio di una penalizzazione che, nella versione originaria, è l'applicazione del sistema contributivo (assegno calcolato sui versamenti all'Inps), anche se il lavoratore ha diritto al misto. Il soldoni, un taglio alla pensione del 30% in cambio di un anticipo di 4 anni. Nella nuova versione il taglio sartoriale studiato dagli attuali, sarebbe del 10%. A costo zero, secondo i pro riforma.

Impraticabile per il ministero dell'Economia.

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