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L'ultimo svarione dei pm Alemanno non è mafioso

Cade l'accusa per 113 imputati su 116, tra cui l'ex sindaco. Lui esulta: «Infangato, ora le scuse»

L'ultimo svarione dei pm Alemanno non è mafioso

Se ne va un pezzo dell'indagine Mafia Capitale e finiscono depennati dal registro degli indagati - perché archiviati - in 113, sui 116 sollecitati dalla procura a ottobre scorso. Tra loro anche Gianni Alemanno, e l'ex sindaco di Roma esulta per essersi scrollato di dosso le accuse di associazione di stampo mafioso, anche se resta a processo per corruzione e finanziamento illecito.

Il gip romano Flavia Costantini manda in archivio anche le accuse contro il governatore laziale Nicola Zingaretti, che era stato indagato per corruzione e turbativa d'asta ma, a differenza di Alemanno, nel più assoluto riserbo. Proprio l'ex sindaco non manca di rimarcare la differenza, dopo aver ringraziato «la magistratura» e chiesto le scuse a «chi ha lanciato fango». «Finalmente, dopo 26 mesi di attesa, è stata definitivamente archiviata dal gip - spiega Alemanno - l'accusa nei miei confronti per il reato assurdo e infamante di associazione a delinquere di stampo mafioso». E sulla gogna mediatica di «politici e giornalisti che non sanno distinguere un avviso di garanzia da una condanna» si sofferma ancora l'esponente della destra sociale, ricordando appunto che «Analogo danno è stato evitato al governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti».

La procura si sforza di ricordare che il processo madre va avanti, ma certo le 113 archiviazioni e lo svaporare per tanti dell'aggravante dell'associazione mafiosa confermano i dubbi sulla consistenza in particolare di quella delicata accusa, che anche nel processo principale ha sofferto qualche brutale colpo d'arresto. Intanto, oltre a Zingaretti (e al suo ex braccio destro Maurizio Venafro, che per le accuse si dimise) e Alemanno, finiscono archiviate per mancanza di elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio anche diversi consiglieri ed ex consiglieri comunali, da Alessandro Onorato della Lista Marchini a Vincenzo Piso, già Pdl, fino ad Alessandro Cochi e all'ex capo segreteria di Alemanno, Antonio Lucarelli. Quest'ultimo, addirittura, era divenuto uno dei simboli della presunta cupola mafiosa sul Campidoglio, con la celebre telefonata del «cecato» Massimo Carminati che sarebbe bastata a farlo correre giù dal Campidoglio per incontrarlo, dimostrando secondo la vulgata mediatica dinamiche da Padrino. E invece adesso anche Lucarelli finisce archiviato. E ce n'è pure per il «nero», perché tra le archiviazioni c'è pure l'ex Nar che si vede liberare dell'accusa di associazione per delinquere finalizzata a rapine e riciclaggio. Archiviata anche l'accusa di riciclaggio per Gennaro Mokbel, e quella di essere i referenti di «Cosa nostra» avanzata a suo tempo dalla procura contro Ernesto Diotallevi e Giovanni De Carlo, spacciati come «boss» e uomini d'onore sui giornali all'alba dell'inchiesta.

Solo per tre persone il gip Costantini ha rigettato la richiesta di archiviazione della procura. E curiosamente, rispetto alla connotazione politica che era stata data all'inchiesta nei primi tempi, si tratta di un imprenditore della cooperazione e di due esponenti di centrosinistra.

Si tratta di Salvatore Forlenza, dirigente del colosso delle coop Cns, dell'ex consigliere comunale della lista di Ignazio Marino Luca Giansanti e dell'ex presidente Pd in commissione Bilancio del Campidoglio, Alfredo Ferrari.

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