Cronache

L'uomo bionico del futuro? Sarà super intelligente (con un chip nel cervello)

L'ultima sfida dell'inventore miliardario Elon Musk: integrare memoria biologica e digitale

L'uomo bionico del futuro? Sarà super intelligente (con un chip nel cervello)

Siamo scienza non fantascienza, recitava un vecchio slogan pubblicitario. Il sottinteso è che la prima è roba seria, la seconda fantasia. Ma a dirla tutta, quando si tratta di immaginare il futuro della ricerca, la scienza attinge a piene mani dalla fantascienza. Elon Musk è l'esempio perfetto: al miliardario che sta lanciando una dietro l'altra imprese che hanno lo scopo di tradurre in realtà innovazioni che oggi suonano fantascientifiche, di certo non mancano né la fantasia né, probabilmente, le lettura di science fiction. Lo prova la sua ultima creazione, una società chiamata Neuralink che ha lo scopo di realizzare chip da installare nel cervello umano. Roba da romanzi, cinema e fumetti. Letteralmente. A gennaio un fan ha chiesto a Musk quando avrebbe annunciato il «tessuto neurale» e lui, parlando di Neuralink, ha risposto «probabilmente il mese prossimo», intuendo tranquillamente di cosa si parlasse anche se il termine «tessuto neurale» è stato coniato dallo scrittore di fantascienza Iain M. Banks, che attorno all'idea di uomini con un chip impiantato nel cervello ha costruito un'intera saga. Al cinema il chip è diventato un sistema per espandere la memoria con Johnny Menmonic, il personaggio ispirato a un altro maestro della fantascienza, William Gibson, e interpretato da Keanu Reeves. E un popolare fumetto italiano, Nathan Never, dipinge un futuro in cui il chip nel cervello crea una nuova figura professionale, il ricordante, cioè un uomo-macchina che mette a disposizione la sua memoria elettronica per il trasporto di grandi quantità di dati.

Fantascienza, ma non per Musk. Che, presentando, la sua creatura, ha spiegato così la sua visione: «Nel tempo penso che probabilmente vedremo una più stretta fusione tra intelligenza biologica e intelligenza digitale», spiegando che «è soprattutto una questione di larghezza di banda, velocità di connessione tra il tuo cervello e la versione digitale di te stesso». Una suggestione che evoca scenari incredibili. Il chip ci consentirà, ad esempio, di scaricare direttamente nel cervello un libro o la dichiarazione dei redditi? O magari, al contrario, di pubblicare un nostro (generalmente banale) pensiero direttamente su Facebook. Difficile dirlo. Gli appassionati della materia fantasticano sul nostro cervello potenziato grazie all'intelligenza artificiale. Ma la verità è che sulla capacità di creare macchine davvero intelligenti, dopo tanto entusiasmo, circola un po' di scetticismo. La flessibilità della nostra intelligenza è difficile da imitare in tutte le sue sfaccettature.

Più realisticamente, la connessione tra i nostri neuroni e apparecchi digitali punta a sviluppi della salute. E infatti Neuralink, come ha rivelato il Wall Street Journal, è registrata come società di biomedicina. Settore che sta attirando investimenti coraggiosi, come quello di Bryan Johnson, creatore di un'altra società, Kernel, che si sta muovendo nello stesso campo. Qualche applicazione esiste già, come gli impianti elettronici tentati in alcuni casi per alleviare i sintomi del Parkinson o il caso straordinario di Ian Burkhart, un 24enne che aveva subito una lesione della spina dorsale durante un incidente in immersione sott'acqua. L'impianto di un chip nel cervello, realizzato da un team americano dopo dieci anni di ricerca, gli ha permesso di tornare a muovere le mani. Un risultato straordinario, ma ancora sperimentale, riservato in genere ha chi non ha altre speranze e ha il coraggio di tentare interventi sul cervello che restano pericolosissimi. Perché, ammettono gli scienziati, al momento la nostra conoscenza del modo in cui avviene la comunicazione dei neuroni è ancora molto parziale. Il cervello, dunque, resta un grande e affascinante mistero.

E, in fondo, è consolante che al momento l'obiettivo degli impianti non è migliorarlo, ma farlo funzionare come nuovo in caso di malattie.

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