Politica

Il lussemburghese scelto per caso Il suo mandato? Un "ridicolo" flop

Annunciò investimenti per 315 miliardi. Rimasti sulla carta

Il lussemburghese scelto per caso Il suo mandato? Un "ridicolo" flop

«Ridicolo» è un aggettivo spericolato in bocca a Jean-Claude Junker, il «presidente per caso» come lo bollò, appena eletto alla Commissione Ue, il settimanale britannico The Economist. Vignetta a corredo: Junker dinosauro, con in mano un bicchiere di liquore e nell'altro una sigaretta. Dinosauro, politicamente lo è senz'altro (già ministro a 29 anni, è stato premier in Lussemburgo per 18 anni consecutivi, record europeo), grande fumatore e amante dell'alcol pure, come sanno bene i frequentatori dei summit europei, dove Jean-Claude brinda volentieri agli accordi riusciti, ma anche a quelli non riusciti. Il tabloid Mail on Sunday, citando una fonte diplomatica, ci andò giù con clava: «Juncker? Un ubriaco che beve cognac a colazione». I britannici non l'hanno mai amato, l'ex premier David Cameron fu uno dei leader europei ad opporsi alla sua nomina a Bruxelles («State scegliendo qualcuno che non sarà la voce del cambiamento in Europa»), e alla fine, dopo lo smacco per l'elezione, hanno scelto di risolvere la sgradita convivenza nella maniera più drastica: Brexit. In effetti l'ex avvocato figlio di un operaio siderurgico del Granducato, passerà alla storia come il presidente che ha preso un'Europa a 28 stati e se n'è andato con la Ue a 27, perdendo per strada la Gran Bretagna. Ad essere precisi, stava per salutare anche la Grecia, primato sfumato per poco dalla presidenza Juncker.

Un altro, invece, lo aveva già guadagnato: primo presidente della Commissione Ue nella storia a non essere eletto all'unanimità. La scelta è ricaduta su di lui proprio per il basso profilo politico, che poteva mettere d'accordo Ppe e Pse, in più il fatto di rappresentare un Paese, il Lussemburgo, con meno della metà degli abitanti di Bari, schiacciato tra i big Germania e Francia, ha fatto il resto. I suoi tre anni hanno confermato le aspettative: un europeista convinto, un leader scialbo. Un megaflop è stato il cosiddetto «Piano Juncker», lanciato con squilli di fanfare nel 2014 con l'obiettivo di mobilitare investimenti per 315 miliardi di euro: rimasti sulla carta.

Più riuscite le sue gaffe. «Sta arrivando il dittatore!» disse per salutare il premier ungherese Viktor Orban al suo arrivo ad un vertice a Riga, provocando il gelo tra i presenti. «Ora devo vedere il presidente dell'Azerbaijan, questo significa che la parte bella della giornata è finita» disse invece a Baku prima di incontrare il numero uno dell'ex repubblica sovietica, probabilmente non abituato all'ironia. Anche dopo la vittoria di Trump, l'accoglienza di Juncker è stata poco diplomatica: «Perderemo due anni, aspettando che Trump termini di fare il giro del mondo che non conosce». Sarà perché, come si giustificò una volta, «faccio fatica a farmi capire, quando parlo francese penso in tedesco e viceversa». Grande fautore dell'austerity, tranne quando si tratta del suo Lussemburgo, paradiso fiscale finito nel mirino proprio di Bruxelles per gli sconti fiscali alle aziende. Qualche anno prima fu persino costetto a dimettersi per una storia di spionaggio. Ma Juncker è un mandarino inaffondabile.

Anche perché nei liquidi si destreggia benissimo.

Commenti