Politica

M5s chiede ministeri. Ma la nuova giravolta è senza condizioni

Dal "no" al "forse" al "ci siamo" in poche ore Il vero obiettivo: prendere parte al Recovery

M5s chiede ministeri. Ma la nuova giravolta è senza condizioni

Il nuovo volto dei Cinque stelle ha l'effigie un po' smarrita di Vito Crimi quando esce dalla sala della Lupa per comunicare l'ennesima giravolta. L'Elevato è spietato: lui se la svigna e schiera davanti ai giornalisti il «capo politico» Vito Crimi, costretto a passare in 36 ore da «siamo per un governo politico, non voteremo Mario Draghi» a «M5s ci sarà con lealtà».

Crimi parla di «condizioni» poste a Draghi, dell'esigenza di «una maggioranza politica solida». Beppe Grillo però ha parlato tanto e concluso poco. Dalla bisaccia dei risultati Crimi estrae solo un timido riferimento alla necessità di mantenere il reddito di cittadinanza che troverebbe Draghi «sensibile». Un po' scarsa come base per la terza svolta in tre anni scarsi di vita parlamentare, confermata da Grillo con una delle solite massime sul blog: «Non conosco una via infallibile per il successo, ma una per l'insuccesso sicuro: voler accontentare tutti». La citazione di Platone è rivolta alle truppe recalcitranti di fronte all'ultimo trasformismo.

I giochi sono già decisi. Il M5s conferma la scelta nel pomeriggio con un post su Facebook. Con Draghi, si spiega, «apparteniamo evidentemente a mondi diversi» ma ora «ci siamo conosciuti» e «non saremo perfetti ma, a differenza di altri, siamo leali», e in politica «è merce rarissima».

In mattinata, prima dell'incontro a Montecitorio con il presidente incaricato, Grillo aveva riunito un vertice con i componenti grillini del governo uscente, presenti Davide Casaleggio e, ed è questa la vera novità, anche l'ex premier al quale, ora che le urne si sono allontanate e con esse l'idea di un partito personale di Giuseppe Conte, bisogna trovare un ruolo. C'era anche Enrica Sabatini, socia di Casaleggio nell'associazione Rousseau, segno che l'opzione di un voto sulla piattaforma della democrazia diretta rimane un'opzione in campo.

Ma prima bisogna sminare l'eventualità di una scissione. Tra gli osservatori c'è chi la dà per inevitabile, anche se magari non immediata. La verità è che con le elezioni così lontane, la nascita di una nuova casa per i grillini duri e puri, i parlamentari vicini ad Alessandro Di Battista (che soprattutto al Senato hanno una certa consistenza numerica) sembra sempre improbabile.

Dibba ribadisce che «non ho cambiato idea» e «non potrò mai avallare questa accozzaglia». Ma fa filtrare che non intende lanciare ultimatum sulla sua permanenza nel Movimento. Barbara Lezzi, che aveva ventilato perfino le dimissioni da parlamentare, ora concede un «sì» se sarà «un governo a tempo», fenomeno che ovviamente dal punto di vista politico-costituzionale non esiste. Idem Nicola Morra, che la butta in filosofia e invita all'unità, ma al momento non pare pronto a colpi di testa.

Il problema è capire come evitare nuove emorragie di singoli parlamentari (nel 2020 in 34 hanno lasciato il M5s), il «Vietnam» cui Grillo manda a dire che «non si può accontentare tutti». La strategia è cercare di piantare qualche bandiera simbolica, sotto forma di dieci condizioni che Grillo pubblica sul blog.

Tra i punti, la richiesta di alcuni ministeri: fondere Ambiente e Sviluppo economico in un dicastero della Transizione ecologica e creare un ministero dei Giovani. Ma è Luigi Di Maio a chiarire la vera questione: «Ci dimostreremo responsabili» perché «ci sono 209 miliardi da spendere».

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