Politica

Macché buste biodegradabili Tre anni in mare e sono integre

I sacchetti compostabili si decompongono dopo 3 mesi in acqua, l'altro materiale no. E scoppia la polemica

Sara Mauri

Le borse per la spesa usa e getta sono uno dei prodotti in plastica più usati al mondo, spesso anche soltanto per pochi istanti. Si stima che l'Unione europea utilizzi circa 100 miliardi di sacchi ogni anno. Ma la sorpresa arriva dal Regno Unito. Un nuovo studio dell'università di Plymouth su plastiche biodegradabili, oxo-biodegradabili, compostabili e in polietilene ad alta densità, condotto da Imogen Napper e Richard C. Thompson dell'International Marine Litter Research Unit, mette in dubbio la durata delle plastiche delle borse utilizzate nel Regno Unito: la plastica biodegradabile non è la risposta giusta all'inquinamento in ambiente marino. Chiaramente, è bene precisare che esiste differenza tra buste biodegradabili e compostabili, anche se si pensa che tutte le plastiche bio si dissolvano nello stesso modo.

Thompson, biologo marino insignito dell'Ordine dell'Impero Britannico dalla regina Elisabetta, ha dedicato la sua carriera allo studio dei rifiuti di plastica. La sua ricerca evidenzia come il termine «biodegradabile» possa confondere i consumatori, inducendoli a pensare che la borsa semplicemente scomparirà se gettata via. I ricercatori, dal 10 luglio del 2015, hanno esaminato per tre anni il modo in cui cinque materiali in sacchetti di plastica si decompongono quando esposti in tre ambienti naturali: all'aperto, nel terreno, immersi nell'acqua di mare e in condizioni di laboratorio controllate. Dopo nove mesi all'aria, tutti i materiali erano completamente disintegrati in frammenti. Ma le borse biodegradabili, oxo-biodegradabili e convenzionali erano rimaste funzionali al trasporto della spesa dopo essere rimaste nel suolo o nell'ambiente marino per tre anni. La borsa compostabile, invece, in tre mesi era completamente scomparsa dall'ambiente marino, ma dopo 27 mesi era ancora presente nel terreno.

Lo studio potrebbe riaccendere le polemiche della scorsa estate quando il produttore britannico Symphony Environmental Technologies aveva messo in discussione gli studi di Thompson. Assobioplastiche, l'associazione dei produttori di bioplastiche compostabili, ha commentato in una nota la ricerca: «tale studio non ci dice nulla di nuovo, ma conferma - come Assobioplastiche asserisce sin dalla sua nascita nel 2011 - che è scorretto utilizzare il termine biodegradabile rispetto a prodotti a base di polimeri tradizionali o con l'aggiunta di additivi che ne accelerano la frammentazione (c.d. oxo-degradabili). Gli unici prodotti a potersi fregiare correttamente di tale definizione sono quelli in bioplastica compostabile, come peraltro già chiarito nel 2015 in Italia dall'Agcm (Direzione Tutela del Consumatore) nel caso dei sacchetti oxo-degradabili, all'epoca utilizzati da alcune insegne della Gdo». Assobioplastiche «ritiene inaccettabile che uno studio che conferma un'ulteriore distinzione netta tra materiali in termini di proprietà di biodegradazione e corretta utilizzabilità di tale caratteristica venga strumentalizzato per comunicare un messaggio scorretto».

Insomma, c'è differenza tra le buste in materiale compostabile e con additivi, ma lasciare in giro le borse ecologiche pensando che si dissolveranno non è la scelta giusta per l'ambiente.

Commenti