Politica

Macerata assediata dai girotondi antifascisti

Città impaurita e blindata nel giorno del corteo Gentiloni: «Il Ventennio è fuori dalla Costituzione»

Macerata assediata dai girotondi antifascisti

Massimo Malpica

nostro inviato a Macerata

Fa più paura un corteo del pistolero Traini. Fa più paura una manifestazione - ora autorizzata - del timore di uno spacciatore che fa a pezzi una ragazza. Macerata si sente sotto assedio. Ma più dei fatti di cronaca che le hanno regalato questa improvvisa e per niente voluta notorietà, a spaventarla è proprio questa attenzione. Di Macerata parla anche il premier Paolo Gentiloni. «Atteggiamenti e discorsi che si rifanno al nazismo e al fascismo - ha detto - sono fuori dalla Costituzione». E in città ci sono giornalisti, telecamere, i politici che sfilano ogni giorno, la polizia e i carabinieri mai così presenti e visibili: tutte cose che la bella cinta muraria cinquecentesca di Macerata non può certo arginare. Proprio intorno alle mura, oggi, sfilerà il corteo antifascista e antirazzista. Prima negato, poi autorizzato. Ci saranno i centro sociali, la Fiom, annunciati pure Gino Strada e Pippo Civati, Sabina Guzzanti e Nicola Fratoianni, l'Arci, Potere al Popolo, rappresentanti dell'Anpi «a titolo personale», Libera e via dicendo. Ci saranno anche maceratesi, ma il grosso della città guarda con diffidenza a cortei e manifestazioni. Di qualsiasi colore. Non certo perché si sente vicina a Traini, o perché approva il tiro a segno all'immigrato andato in scena una settimana fa. Semplicemente vuole voltare pagina.

E in molti invece si sentono tirati per la giacca, usati dalla politica per meri fini elettorali. Così oggi la città chiude, nemmeno fosse davvero sotto attacco. Niente scuole, anche se la manifestazione inizierà alle 14. Stop anche ai trasporti pubblici. E persino i negozi del centro, che pure dovrebbe restare fuori dal percorso del serpentone antifascista, dicono di voler lasciare le serrande abbassate, «perché non si sa mai». Ci sono gli allarmisti («rischiamo di fare una Genova», esagera un tabaccaio a due passi da piazza della Libertà), i prudenti («alle 13 si chiude, poi vediamo che succede e decidiamo», spiegano in una boutique del centro) e i nauseati. Come Carla, commessa di un negozio di abbigliamento dai bei soffitti affrescati, che allarga le braccia e sbuffa. «Qui non siamo abituati a 'ste cose. Scontri di piazza, cortei, giornalisti ovunque. La cosa triste è che quello che è successo non conta niente, l'hanno buttata in politica con le elezioni tra meno di un mese e questo mi fa schifo». «Ora - continua - vengono ministri e big politici, la polizia arresta un pusher al giorno e la vita tranquilla è sconvolta. Poi tutto tornerà come prima. Anche i problemi però, perché gli spacciatori ai giardini Diaz ci sono sempre e scommetto che torneranno presto pure loro, appena il circo leverà le tende».

Intanto sulle vetrine di molti negozi, ieri, sono apparsi cartelli rossi con la scritta «Peace in Macerata» circondata da un cuore. Un'iniziativa di Paolo, titolare del bar Hab, che pure qualche sassolino dalla scarpa se lo vuole togliere. Perché mercoledì è bastato che il leader di Casapound Simone Di Stefano si fermasse lì a prendere un caffè per etichettare il locale e lo stesso Paolo come «fascisti». Qualcuno ha addirittura postato sulla pagina Facebook del corteo odierno una foto del bar, indicandolo come «il posto che oggi ha ospitato Casapound» e invitando a boicottarlo. «Si è beccato una denuncia alla Digos», ringhia ora il titolare del locale. «Servire un cliente ti fa connotare politicamente? Sono tutti impazziti. Macerata è sacrificata sull'altare di una strumentalizzazione da parte delle forze politiche, tutte affannosamente intente a cavalcare in chiave elettorale gli ultimi fatti di cronaca». «Purtroppo - conclude - questa città è pavida, perché ha la tranquillità nel suo Dna. Altrimenti dovremmo scendere in piazza noi, pretendendo una sola cosa.

Rispetto per Macerata».

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