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Da Mafia capitale allo scandalo di Mineo. Dopo le denunce tutto torna come prima

In ballo c'una torta da 4 miliardi per la gestione migranti che fa gola a molti

Da Mafia capitale allo scandalo di Mineo. Dopo le denunce tutto torna come prima

Roma - C'erano una volta Buzzi che «gli immigrati rendono più della droga», Odevaine che incassava 5.000 euro al mese per orientare il traffico di profughi verso le coop amiche e il Cara di Mineo patria di tutti gli scandali. Neanche il tempo di scrivere il finale di questa fiaba triste (la sentenza arriverà a metà luglio), e si scopre che non è cambiato nulla. Pagine e pagine di giornali e libri su Mafia capitale, trasmissioni tv, processi e denunce. Eppure il giro del fumo è sempre lo stesso. Appalti per miliardi di euro destinati alla cosiddetta «accoglienza» che, nonostante l'ondata migratoria duri da almeno sette anni, viene sempre gestita con criteri di emergenza.

E a quanto pare ai governi che si sono succeduti da mafia capitale in poi sta bene così: l'ex capo del Dipartimento Libertà civili del Viminale Mario Morcone, l'uomo che ha gestito per anni questa partita, uno con cui Odevaine era in ottimi rapporti, è stato promosso dall'erede di Alfano, Marco Minniti, a capo di gabinetto.

La torta degli appalti per gestire i 179.000 migranti presenti nei vari centri di accoglienza vale 4 miliardi e fa gola a tanti. E se a fare rumore sono le inchieste che riguardano i grandi centri come Mineo (un appalto da 97 milioni di euro) e Crotone che attirano le mire del crimine organizzato, anche nei centri più piccoli gli scandali sono all'ordine del giorno. Sono i «Cas», centri di accoglienza straordinari, il cui nome rivela il perenne approccio emergenziale che favorisce le scorciatoie nella scelta di gestori improvvisati ma con buone connessioni politiche. L'80 per cento di chi sbarca passa per questi centri. Il Giornale ha raccontato alcuni di questi casi nel volume Immigrazione Spa, altri sono stati svelati da Mario Giordano in Profugopoli. Ma non è cambiato nulla. Basta scorrere le cronache degli ultimi mesi. Quanta indignazione suscitò la protesta degli abitanti del borgo di Conetta, 190 abitanti nel Padovano, contro il centro che ospitava 1.300 migranti. Poi sono arrivate le inchieste: una sui conti milionari della coop Ecofficina che gestisce l'ex caserma e un'altra su maltrattamenti denunciati dagli stessi profughi.

Casi tutt'altro che isolati: ad aprile nel beneventano due centri sono stati posto sotto sequestro perché per vincere l'appalto avevano presentato una falsa documentazione di agibilità delle strutture. Risale invece al 2016 il sequestro di altri sette strutture nell'Avellinese: anche qui i servizi forniti dai gestori, la coop «In Opera» erano ben diversi, e ovviamente di livello inferiore, a quelli pattuiti e pagati con denaro pubblico. A Siracusa invece si è mossa la Finanza ed è saltata fuori l'accusa di evasione fiscale per 4,5 milioni di euro ai danni di un consorzio locale a cui partecipavano alcuni dei nomi noti già da mafia capitale. E pensare che ancora c'è chi storce il naso davanti a denunce come quelle pronunciate dal procuratore capo di Catania Carmelo Zuccaro («C'è una massa di denaro destinata all'accoglienza dei migranti che attira gli interessi delle organizzazioni mafiose») e lo accusa di generalizzare, come se il malaffare in questo settore fosse l'eccezione. La storia di Pasquale Cirella, narrata in Profugopoli, spiega bene quanto gola possa fare questo affare. Cirella, installatore di impianti idraulici del napoletano, converte l'attività in ospitalità per i migranti. E il suo fatturato in pochi anni passa da 44.000 euro a 5,5 milioni, moltiplicandosi per 126 volte.

Per fortuna anche nel settore c'è chi non chiude gli occhi come il presidente di Concooperative Veneto Ugo Campagnaro: «Ci sono Prefetture che affidano quote ingenti di persone e relativi appalti a chiunque sia disposto ad accollarsele in cambio di un profitto».

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