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"La magistratura? È un sistema tribale"

Il pm David Monti: "Chi non si associa a una corrente non fa carriera"

"La magistratura? È un sistema tribale"

«Sistema decomposto». «Sistema tribale». Non lesina aggettivi David Monti, sostituto procuratore della Repubblica a Milano, per descrivere quanto sta emergendo sul marcio nei piani alti della giustizia italiana. Può parlare liberamente perché tra pochi giorni non sarà più un magistrato. Mentre i suoi colleghi tendono a restare attaccati alla toga fino al settantesimo compleanno, quando li mandano in pensione per forza, lui a 64 anni molla e cambia vita.

Perché?

«Un po' per motivi miei. Ma soprattutto perché in questo sistema giudiziario non riesco più ad avere fiducia. Vede, quello che sta emergendo non mi sorprende, e tutta questa indignazione mi fa sorridere. Cosa c'è da stupirsi, dico io. Questo è il sistema con cui la magistratura italiana è stata governata e si è autogovernata praticamente da quando sono entrato in servizio. Parlo di trentacinque anni fa. Certo, c'è un imbarbarimento dei linguaggi, dei comportamenti dei singoli. Ma la sostanza era nota da tempo e il sistema era destinato a implodere».

Eppure molti suoi colleghi sembrano cadere dalle nuvole.

«Nel 1988 il Csm giudicò Giovanni Falcone inidoneo a coprire un incarico direttivo. Doveva bastare quello a capire che bisognava cambiare tutto, a riflettere in profondità su come una scelta simile fosse stata possibile. Invece niente, non è cambiato niente. La magistratura e il Csm sono l'unico pezzo di società italiana che è rimasto identico nell'ultimo mezzo secolo. Le conseguenze sono devastanti. Ma non siamo davanti a schegge impazzite, a singoli casi di uscita dalle regole. Il sistema tribale di gestione delle carriere che sta venendo a galla è il figlio legittimo di regole che tutti i giovani magistrati apprendono appena entrano in servizio e che finiscono con il fare parte del loro Dna».

Quali regole?

«Una su tutte: non potrai mai sperare in un incarico direttivo se non ti associ a un gruppo, se non entri in una corrente. Vorrei essere smentito, vorrei conoscere un capo di una procura o di un tribunale che sia stato scelto a prescindere dalla tessera di corrente che aveva in tasca».

Associarsi in correnti è un diritto.

«Sicuro! Ma questo diritto si è trasformato in un obbligo: o appartieni a una corrente o non sei nessuno, non vieni preso in considerazione, non entri nel sistema delle spartizioni. É questo il male che ha mandato in decomposizione il sistema dell'autogoverno della magistratura».

Si può rimediare?

«Ci sono in giro tante proposte sensate. Ma a decidere deve essere la politica. E in Italia i politici hanno paura della magistratura. É come se non si fossero mai liberati dalla sindrome del 1992. Così si permette che i magistrati invece di applicare la legge come è loro dovere la giudichino, la contestino, facciano convegni insegnando al Parlamento cosa dovrebbe fare. Non esiste un paese al mondo dove questo accade».

La lobby al centro dell'inchiesta di Perugia viene paragonata alla P2, alla P3, alla P4. Paragone azzeccato? Lei in passato è stato accusato di essere massone.

«Io sono stato massone da giovane, e quando sono diventato magistrato ho cancellato la mia iscrizione perché un magistrato non deve essere iscritto al club di Topolino. Ciò premesso, sono paragoni ridicoli e soprattutto fuorvianti. La P2 fu un fenomeno drammatico, che nasceva fuori dalla magistratura e puntava a mettere le mani su di essa. Questo invece è un sistema di potere nato e cresciuto all'interno della magistratura stessa, che ha piegato a suo uso e consumo le garanzie costituzionali. Un sistema che ha sempre considerato qualunque tipo di riforma o innovazione un oltraggio alla magistratura, e ha permesso la trasformazione della giustizia italiana in un sistema mostruoso che frena lo sviluppo del paese».

Lei da che riforma partirebbe?

«Test psichici periodici. Questo è un lavoro che fa scoppiare, perché hai in mano la vita della gente.

Ma spesso ce ne dimentichiamo».

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