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Di Maio ministro precario rischia di perdere il posto

Il vicepremier sulla graticola: in caso di voto anticipato sarebbe tagliato fuori da tutto. «È in forte difficoltà»

Di Maio ministro precario rischia di perdere il posto

Sono i luogotenenti di Luigi Di Maio a buttarla giù così: «In caso di urne anticipate il M5s sarebbe in forte difficoltà perché dovrebbe trovare un altro leader in appena qualche mese, dato che al momento non è prevista nessuna deroga al limite dei due mandati a livello nazionale». Traducendo le frasi dal politichese all'italiano, si può arrivare facilmente alla conclusione, esplicitata così dai parlamentari pentastellati «ribelli», ansiosi di archiviare la leadership del capo politico: «Di Maio non staccherà mai la spina al governo con la Lega, perché significherebbe staccarla a se stesso». Non è difficile, quindi, spiegare le continue convulsioni nella linea politica dello stato maggiore grillino. A sinistra durante la campagna elettorale per le europee, quando bisognava differenziarsi dall'alleato. Di nuovo ripiegato sulle posizioni del Carroccio appena acquisito il tonfo delle urne. Dalla stretta contro i negozi pakistani e cinesi, che ha già sollevato un polverone tra alcuni deputati e senatori, fino alla dichiarazione di venerdì: «Se si guarda al responso delle europee in ogni caso la prossima manovra toccherà alla Lega, è una loro responsabilità innanzitutto, oltre che del governo». Come dire: basta che si governi, anche a costo di scomparire.

Il tarlo che agita il vicepremier, e con lui tutto il gruppo dei fedelissimi piazzati nell'esecutivo gialloverde, è la possibilità, diremmo certezza, che con l'avventura del governo vedano il tramonto anche molte carriere politiche nelle Istituzioni. Prima di tutte, quella di Di Maio. Il leader stellato in questo momento si trova stretto in un imbuto. Incastrato, a livello interno, tra la voglia di cambiamento di Davide Casaleggio da un lato, e l'ambizione di Alessandro Di Battista dall'altro. Sui banchi del Consiglio dei ministri, invece, lo aspetta un futuro da sparring partner di Matteo Salvini. Dato che per sua stessa ammissione, ora la responsabilità delle decisioni più importanti spetterà alla Lega. E tra sopravvivere o morire, il capo politico ha già scelto la prima opzione. «Meglio tirare a campare che tirare le cuoia» disse nel 1991 l'allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti, 28 anni dopo, il leader del Movimento che avrebbe dovuto rivoluzionare la politica italiana e aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, prova ad applicare alla lettera la massima del più democristiano tra i democristiani.

Per farlo, Di Maio sta facendo leva sugli umori del nutrito gruppo di peones del Palazzo restii a misurarsi di nuovo con l'incognita di una ricandidatura e di una rielezione. Sguinzagliati i bracci destri e sinistri ministeriali, impegnati da non più di qualche settimana a tranquillizzare gli eletti terrorizzati, anche loro, dall'eventualità di perdere la poltrona: «Non vi preoccupate, andare a votare non conviene nemmeno a Salvini, lui non ha nessuna intenzione di tornare con Berlusconi», blandiscono la truppa capigruppo, ministri e sottosegretari. Chi dice tutto a chiare lettere è il senatore Gregorio De Falco, espulso dal M5s: «Di Maio abdica e vuole evitare le urne - ha scritto su Facebook - non perché tema che siano analoghi a quelli del 26 maggio, che anzi richiama, ma per evitare di incorrere lui nel limite del doppio mandato».

Già.

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