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Di Maio raggela Zingaretti: "Alle urne, poi vado a destra"

Il leader M5s fa i conti: facciamo cadere il governo, prendiamo il 10-12% e saremo decisivi con Salvini

Di Maio raggela Zingaretti: "Alle urne, poi vado a destra"

«Certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano». Il melenso ritornello vendittiano rimbomba nella testolina di Luigi Di Maio. Che lunedì, seduto con la disinvoltura di un baccalà sui banchi del governo al fianco dell'odiato premier Conte, si perdeva nostalgico con lo sguardo magnetico del suo primo amore (politico, si precisa) Salvini.

Ai suoi il capo M5s lo ha detto chiaro, nelle ore concitate seguite allo show parlamentare sul Mes: «Non dobbiamo escludere la crisi e il voto. E non dobbiamo escludere di ritornare ad allearci con chi è più in sintonia con noi: al governo con Salvini abbiamo potuto realizzare al meglio il nostro programma, perchè con lui c'è un comune sentire. Con il Pd non ci sarà mai».

Stretto tra il fondatore di M5s Beppe Grillo (che ha spinto per l'alleanza con il Pd ma sostanzialmente si fa i fatti suoi) e il premier Conte che con Salvini ha rotto ogni ponte e pensa di avere un futuro come referente di centro del centrosinistra, Di Maio si è fatto i suoi conti. «Il 33% del 2018 è merito mio», si vanta. Sa benissimo che oggi quei voti li rivedrebbe col binocolo, ma il giovanottino di Pomigliano non ha intenzione di restare sotto le macerie del grillismo, e in questi giorni sta instancabilmente perorando la sua causa, coadiuvato dal redivivo Dibba, con i parlamentari che sa più sensibili: «Se facciamo cadere il governo sul tema per noi più conveniente, che sia il Mes o la prescrizione, possiamo puntare all'alleanza con il centrodestra e portare a casa un 10/12%. E diventare l'ago della bilancia nel prossimo governo con Salvini, lasciando Conte col Pd».

Non a caso ieri, nel Pd (dove hanno capito l'antifona) la bislacca esternazione di Di Maio sul Mes è stata definita «un lapsus freudiano». Dice il ministro degli Esteri: «Decideremo noi se il Mes deve passare o no: il M5s è l'ago della bilancia». Fatta la tara della sua scarsa padronanza della lingua italiana, definire «ago della bilancia» il partito di maggioranza relativa è del tutto improprio. «Ma lui quello vuole diventare: non con noi, con Salvini dopo il voto», spiega un dirigente dem. Resta da vedere, aggiunge ironico, «cosa se ne dovrebbe fare Salvini di Di Maio: con Berlusconi e Fdi avrebbe un'ampia maggioranza, chi glielo fa fare di imbarcare quegli spostati?». Ma il cuore, come si sa, ha ragioni che la ragione non conosce. I Dem sono comunque mobilitati a sondare le file grilline, soprattuto al Senato, per capire chi potrebbe seguire l'azzardo di Di Maio, a rischio del posto, e far saltare Conte alla prima occasione. Magari l'11 dicembre sul Mes. «In verità non è facile provocare la crisi - spiega un membro dem del governo - perchè se anche dieci senatori grillini, convinti di essere imbarcati dalla Lega, votassero contro, arriverebbero dieci 'responsabili' da destra». Poi aggiunge sconsolato: «Ma governare così è una tragedia. I ministri grillini sono uno peggio dell'altro, tra i nostri se ne salvano pochi. Conte si è rivelato un bluff e ormai anche al Quirinale, dove hanno fatto di tutto per sostenerlo, hanno perso speranza: alla fine Di Maio, nella sua ignoranza, si è rivelato più furbo di lui, e anche di Grillo. Zingaretti non ha mai creduto in questo governo e non se ne occupa, non c'è nessuna regia: arrivare al 2022 così? E' impensabile».

E raccontano che persino Dario Franceschini, capo della delegazione dem e più assiduo tessitore del governo (con lo sguardo al fatidico 2022 e al Quirinale) sia sempre più pessimista: «Con questi governare non è difficile: è impossibile».

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