
Nessuno mette Luigino nell'angolo. Il momento Dirty Dancing di Di Maio arriva al termine delle consultazioni con Giuseppe Conte. Come la protagonista del film che recita la battuta cult, il vicepremier ha incassato colpi su colpi, ma ieri ha voluto sfoggiare muscoli sufficienti a frenare la corsa del governo nascente. Dalla Sala della Regina della Camera dei deputati elenca un nuovo programma di venti punti e lancia un chiaro ultimatum: «Oggi si potrebbe dar vita a un Conte bis, uso il condizionale perché sono stato molto chiaro: o siamo d'accordo a realizzare punti del programma o non si va avanti». O così o «meglio tornare al voto».
Il messaggio è deflagrato come una bomba in Borsa, dove i nuovi timori per la formazione nel governo hanno frenato il listino di Milano (che era in positivo e ha chiuso a -0,35%) e fatto rimbalzare verso l'alto lo spread (da 166 a 175 punti). Il boato ha scosso anche le stanze del Nazareno, mandando in fibrillazione tutto lo stato maggiore del Pd, a partire dal segretario Zingaretti che ha annullato il previsto incontro con il vicepremier per poi far capire di voler continuare a trattare ma «senza ultimatum». Il vero destinatario è però Giuseppe Conte: così Di Maio fa capire al premier che deve convincere il Pd a garantirgli un ruolo nel governo che non appaia come un'umiliazione definitiva. Se ci saranno vicepremier, uno deve essere made in Pomigliano.
Proprio ieri, un sondaggio Youtrend ha registrato un ulteriore calo della popolarità del capo politico 5s: ha fiducia in Di Maio il 25,7 per cento degli intervistati, mentre Conte vola al 53,4. Il capo politico sa che sta giocando una partita decisiva: scavalcato da Conte nelle gerarchie M5s, con sulle spalle un veto del Pd e con i parlamentari 5 stelle sempre più irritati per i suoi personalismi, Di Maio sa che deve far capire che senza di lui il governo non si fa. E così, mentre tutti i partecipanti alla trattativa smentiscono la guerra di poltrone, tira fuori dal cappello un nuovo elenco di venti punti programmatici. Una mossa scomposta e apparentemente fuori da ogni logica, visto che lo stesso Di Maio aveva già messo sul piatto una lista di dieci punti. C'è dentro di tutto, dall'acqua pubblica all'accelerazione dei processi, dalle concessioni autostradali alle riforme verdi, al taglio dei parlamentari. Tutti temi identitari per il M5s, utili a mobilitare il popolo pentastellato in vista del voto su Rousseau che, poco dopo l'uscita di Di Maio, viene difeso da una nota ufficiale del M5s che ne rivendica l'importanza. Poche righe rivolte «ai critici della piattaforma», incluso chi tra i 5s eviterebbe volentieri il voto su Rousseau.
Colpisce che nell'elenco dei nuovi venti punti ci sia ben poco di inaccettabile per il Pd. A voce Di Maio parla di «revoca delle concessioni autostradali», ma nel documento si parla di «revisione». Il vicepremier evoca anche il problema dell'immigrazione come «serio e concreto» e lascia capire che il Dl Sicurezza va modificato solo quel tanto che ha chiesto il Quirinale. Condizioni non poi così lontane da quelle del Pd. Ma presentate come ultimatum proprio per far scoppiare il caso. Di Maio ricorda a Conte che ha ancora il controllo su un pezzo del M5s, oltre che sul conto in banca dove ci sono i soldi restituiti dai parlamentari. A conferma, arrivano tweet di sostegno da vari esponenti 5S, da Toninelli a Buffagni. E la copertura del Blog delle Stelle.
Conte, che oggi avrebbe voluto tirare le fila con una dichiarazione, la cancella, chiede a Roberto Fico di mandare messaggi
rassicuranti al Pd e convoca i pontieri dei due partiti. Il Nazareno in serata chiede come condizione per andare avanti «un chiarimento sulle parole di Di Maio». Stamattina si riprende a trattare. Sul «programma», ovviamente.