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Di Maio sempre più in bilico: "In Emilia si va da soli"

L'indicazione ai suoi in Senato dopo aver sondato gli eletti. Un altro flop alle regionali sarebbe la sua fine

Di Maio sempre più in bilico: "In Emilia si va da soli"

Basta alleanze col Pd nelle Regioni, ha proclamato già domenica notte. E ora, incontrando i suoi al Senato, detta subito la linea per l'Emilia Romagna: si va da soli. Chi c'era racconta che il capo politico ha detto di aver sondato gli eletti nella Regione, e la risposta è stata unanime: «Niente alleanze, si va da soli».

Ma Luigi Di Maio, dopo la batosta umbra, rischia la leadership. Come anticipato dal Giornale alla vigilia del voto nell'ex roccaforte rossa, al momento è un capo senza esercito e con la pistola scarica. I parlamentari che fin dall'inizio si sono opposti al patto con i dem, come il senatore Gianluigi Paragone e alcuni ex ministri gialloverdi, sono una esigua minoranza rispetto al resto dei gruppi, e comunque non si fidano più di tanto di un capo politico che ha mutato pelle e tolto voti al Movimento. Fosse per loro, emerge dai confronti di queste ore, preferirebbero dare il «la» a una vera e propria rivoluzione. Un ritorno al M5s di lotta e di piazza, e l'ex deputato Alessandro Di Battista sarebbe la pedina più adatta per fare scacco matto al pragmatismo dell'ex vicepremier e attuale ministro degli Esteri.

Anche perché l'altro capopopolo, il Garante Beppe Grillo, ormai è dall'altra parte della barricata. Da Italia 5 Stelle ha consegnato un laconico «vaffa» dei suoi a tutti quelli che si lamentavano della svolta giallorossa. «O ci state o la porta è là», è il senso della posizione del fondatore. Che ha fatto sapere a Di Maio di non essere assolutamente disposto ad archiviare l'attuale maggioranza di governo. Forse in alcune regioni, come Emilia Romagna e Toscana, i Cinque Stelle potrebbero andare da soli, ma niente di più. Con la riserva di riprovare il «patto civico» con il centrosinistra anche in altri territori. I ragionamenti del premier Giuseppe Conte vertono sugli stessi assunti. «Non possiamo abbandonare il nostro progetto di alternativa alle destre insieme al Pd soltanto perché abbiamo perso in una piccola regione», delinea strategie a lungo termine il presidente del Consiglio. Con lui il gruppo storico «di sinistra» vicino al presidente della Camera Roberto Fico. E soprattutto la pancia anonima dei gruppi più numerosi dell'attuale Parlamento. Nel loro caso non ci sono strategie, ma l'istinto di sopravvivenza che porterebbe a dilatare il più possibile la legislatura, naturalmente al fianco del Partito Democratico. Questa è la congiuntura astrale che depotenzia la nuova fase terzista annunciata da Di Maio.

Ieri in un'intervista al Fatto Quotidiano è intervenuta sulla questione Roberta Lombardi, capogruppo grillina in Regione Lazio e storica esponente del Movimento. Ha parlato di perdita di identità del partito fondato da Grillo e Gianroberto Casaleggio: «Non si capisce più cosa sia il M5s», salvo chiudere all'ipotesi di «terza via» equidistante tra destra e sinistra ventilata da Di Maio: «credo che non ci si debba porre limiti», ha spiegato.

Di Maio, insomma, è un leader a scadenza. E presentarsi da solo in Emilia-Romagna alle elezioni del 26 gennaio potrebbe trasformarsi in un boomerang per il capo politico. Un referendum interno sulla sua persona. In caso di flop in una delle regioni in cui il M5s è nato e si è radicato fin dall'inizio, sul banco degli imputati politici sarebbe additato come il primo e l'unico dei colpevoli. Tutte le altre anime dei Cinque Stelle, a quel punto, gli rinfaccerebbero gli errori fatti, spiegando che il tonfo umbro non è stato soltanto colpa del patto civico con il Pd. E nemmeno dell'alleanza giallorossa ora al governo. La responsabilità, per le varie fronde che vogliono disarcionarlo, sarebbe sua.

Così Bologna, luogo simbolico di fondazione del grillismo ai tempi del primo Vaffa Day, potrebbe diventare la Waterloo del Movimento di Di Maio.

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