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Di Maio si è montato la testa. Adesso vuole spegnere le tv

Il grillino: «Le emittenti generaliste sono finite, largo ai giovani». Ma migliaia di posti di lavoro sono a rischio

Di Maio si è montato la testa. Adesso vuole spegnere le tv

«In Rai deve iniziare a trionfare il merito e a entrare aria nuova». Annuncia il vicepremier nonché ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico con delega alle Telecomunicazioni, Luigi Di Maio. Ma quella che si prepara ad entrare in Rai più che aria nuova è una vera e propria bufera che punta a travolgere gli attuali assetti di potere a favore del governo giallo-verde. Subito dopo l'insediamento a Palazzo Chigi nei corridoi di Saxa Rubra e viale Mazzini hanno cominciato a sentire il brontolio dei tuoni che si avvicinavano e ora il diluvio sta per scatenarsi: la battaglia delle nomine si avvicina.

Di Maio dal Blog delle Stelle la prende alla larga profetizzando la fine della tv generalista. «Hanno i giorni contati - annuncia Di Maio -. Ma la prossima Netflix potrà essere italiana». Il vicepremier riporta l'analisi di Morgan Stanley (ma non era il demonio per i grillini?) che prevede una crescita esponenziale della penetrazione della tv on line Netflix fino al 20 per cento in 5 anni. «Quello - scrive Di Maio - sarà il punto di non ritorno che in America ha coinciso con il declino del consumo della tv tradizionale». Inevitabile quindi il destino degli «operatori tradizionali italiani ed europei» che «avranno un calo degli utili del 40 per cento». E Di Maio ricorda che «Morgan Stanley ha declassato il suo giudizio su alcune aziende, come Mediaset» in Italia e «ProsiebenSat e Rtl» in Germania. Di Maio sente il dovere di «anticipare il futuro» investendo «in nuovi modelli di business e nuove tecnologie». Ed ecco che vengono chiamate in causa «le grandi aziende culturali del Paese, in primis Rai e Mediaset» che devono «riuscire a rinnovarsi con nuove persone e nuove idee, pensando a nuovi prodotti».E finalmente Di Maio arriva al punto, ovvero un globale cambio della guardia ai vertici di viale Mazzini e dintorni perché appunto «in Rai deve iniziare a trionfare il merito e a entrare aria nuova» ed «il primo passo è la fine della lottizzazione da un lato e la pretesa di avere editori puri dall'altro». Questo, conclude il vicepremier «è un momento di grandi cambiamenti e quindi di enormi opportunità, con investimenti oculati e un serio indirizzo politico le coglieremo e saremo protagonisti». Migliaia di posti di lavoro permettendo.

E se qualcuno avesse un dubbio sul nome dei protagonisti di questo cambiamento lo potrà dissipare subito leggendo il commento di Davide Casaleggio alle parole di Di Maio. «Se aspettiamo di vedere il futuro arrivare, arriverà dall'estero. Dobbiamo iniziare a costruirlo noi - scrive Casaleggio sul suo profilo Facebook -. Il caso dell'industria dei media italiana è emblematico. Ha aspettato arrivasse Netflix per preoccuparsi di innovare il proprio modello di business. Dobbiamo pensare all'innovazione non quando è ormai inevitabile, ma quando è possibile. Ora lo è». Tocca a Beppe Grillo, con l'alibi del comico con il gusto del paradosso, elencare i desiderata del governo. Interpellato dai giornalisti a Roma proclama: «Agorà la chiudiamo, al Foglio togliamo i finanziamenti e Raiuno... state molto attenti».

Un disegno, quello tracciato di da Di Maio e soci, che preoccupa il centrodestra. «Il finanziatore Luigi Di Maio della Casaleggio associati colpisce ancora - dice il portavoce azzurro Giorgio Mulè -.

Sul futuro delle tv il vicepremier gioca a fare il dirigista con il portafogli degli altri, dimentica e mortifica le eccellenti produzioni italiane che alimentano l'industria culturale del nostro Paese, prefigura scenari tetri in favore ovviamente di internet».

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