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Di Maio si sente già premier. Ma Grillo lo gela: mi hai rotto

Il proclama ai cronisti: "Dopo Renzi vinceremo noi. Al Senato? Troveremo chi ci appoggia". E parte la fronda

Di Maio si sente già premier. Ma Grillo lo gela: mi hai rotto

«Quando sarò a Palazzo Chigi...». Il piccolo Luigi Di Maio, già studente fuoricorso direttamente proiettato nel 2013 alla vicepresidenza della Camera, si vede già lì.

Lo spiega senza false modestie ai suoi selezionati ascoltatori, nella maratona senza sosta di discreti rendez-vous diplomatici per accreditarsi con quelli che, un tempo, avrebbe chiamato «Poteri Forti», o peggio. Banchieri, investitori della City, ambasciatori e - naturalmente - il Quarto Potere. Di Maio ha infatti iniziato a convocare (o ricevere su richiesta) una nutrita serie di Signorine Grandi Firme: pensosi notisti, ponderosi editorialisti, rinomati opinionisti, di quelli che il Movimento grillino è solito prendere a insulti e virtuali manganellate, ma che al premier in pectore interessa avere come interlocutori benevoli. E loro accorrono, e ascoltano lusingati la strategia segreta del giovanotto. Lui spiega: «Vincerà il No, sarà il nostro trionfo e Renzi dovrà andarsene». Ma nascerà un governo di larghe intese per fare una legge elettorale contro di voi, lo avvertono gli esperti analisti di Palazzo. «Sì, ma non ci riusciranno», rassicura lui: i Cinque Stelle faranno le barricate, gridando al golpe, e Mattarella dovrà arrendersi e convocare le elezioni. «Ma con l'Italicum alla Camera e il Consultellum al Senato non avrete maggioranza», gli fan notare. Il pratico Di Maio ha la ricetta pronta: «Alla Camera la avremo, e al Senato troveremo chi ci appoggia, pur di fare un governo». Qualche volenteroso Razzi, o Scilipoti, o Turigliatto non mancherà, nella legislatura a Cinque Stelle: ed ecco bello e insediato Gigino a Palazzo Chigi.

La road map di Di Maio, però, è arrivata alle orecchie della nutrita fronda grillina, che vede con sospetto le manovre di quello che i più perfidi hanno ribattezzato «il piccolo Gava». E di lì a quelle di Grillo. Tant'è che una delle più informate giornaliste che seguono M5s, Annalisa Cuzzocrea, ha raccontato su Repubblica il «gelo» sceso tra i due, proprio per l'eccessivo attivismo manovriero di Di Maio. La reazione è stata sul filo dell'isteria: «Siccome non ti dò più interviste dopo alcuni articoli vergognosi, inventi notizie su di me», ha inveito Di Maio via Twitter contro la cronista. Da allora, raccontano in casa grillina, Di Maio è in agitazione per riconquistare la fiducia del Capo. Fin troppo: «Mi rompe il cazzo, mi chiama tutti i minuti, non ne posso più», sarebbe lo sfogo dell'ex comico raccolto da zelanti grillini ortodossi. Dalla sintesi un po' brutale vien fuori la descrizione di un vicepresidente della Camera sull'orlo di una crisi di nervi e ossessivo nel cercare rassicurazioni, anche a costo di farsi sbattere il telefono in faccia. Cosa che tra l'altro sarebbe già accaduta. Che tra i due non ci sia mai stato grande afflato non è una novità: due anni fa, durante la kermesse 5Stelle al Circo Massimo di Roma, Grillo paragonò Luigino - tra il serio e il faceto - nientemeno che a Mastella. «Un politico straordinario», ironizzò nel gennaio 2015. Le parole, per dirla con Nanni Moretti, sono importanti, e nel lessico grillino la parola «politico» si sa, non gode di ottima fama. I pasticci romani (caso Marra in testa) e le gaffe planetarie durante la missione in Israele («Di Maio ha sbagliato a forzare su Gaza, sulla politica estera non siamo pronti», avrebbe confidato ai suoi il noto esperto di relazioni internazionali Grillo) non hanno rialzato le quotazioni dell'aspirante premier, e hanno alimentato il malcontento di chi spera di poter schierare un candidato alternativo a Di Maio se verranno concesse dalla Casaleggio le «primarie vere» che vengono richieste. Per ora, Di Maio resta in pole position per mancanza di alternative, e Grillo, nel blitz romano di mercoledì, lo ha rassicurato che nessuno vuole fargli le scarpe.

Ma «Beppe non si fida», spiegano i bene informati.

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