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Di Maio lo smemorato: si tiene lo stipendio sino all'ultimo istante

Il candidato premier M5s stanga gli altri, ma lui ha fatto il bonifico solo tre giorni fa

Di Maio lo smemorato: si tiene lo stipendio sino all'ultimo istante

Luigi Di Maio potrà sognare Palazzo Chigi ma dovrà rinunciare alla poltrona nel prossimo Parlamento. Se la legge dei grillini sarà uguale per tutti, il vicepresidente della Camera dovrà dimettersi il 5 marzo. Seguendo l'esempio dei due colleghi parlamentari, Andrea Cecconi e Carlo Martelli, che hanno annunciato la rinuncia al seggio dopo che sono emerse incongruenze in merito alla restituzione di una parte dello stipendio di senatore e deputato.

Lo scandalo si allarga e travolge il capo politico del Movimento, che nella giornata di ieri ha promesso il pugno duro contro i furbetti: «Sarà verificato fino all'ultimo centesimo». La verifica comincia proprio dall'erede di Beppe Grillo. E pare che puntualità (nei rimborsi) e trasparenza non siano i piatti forti del repertorio di Di Maio. Negli stessi giorni in cui è esploso il caso sulle irregolarità dei rimborsi di Cecconi e Martelli, soldi che i Cinque stelle dirottano su un fondo del Mise per finanziare il microcredito, Di Maio è scappato in banca per regolarizzare la propria posizione. Anche il numero uno del Movimento ha il braccino corto nella restituzione delle indennità. Solo due giorni fa (9 febbraio), il candidato premier ha ordinato alla banca di eseguire il bonifico per restituire la quota dello stipendio riferita ai mesi di ottobre, novembre e dicembre. Insomma, nelle ore in cui Cecconi e Martelli finivano sotto il fuoco, il leader del Movimento provava a mettere una toppa alla propria posizione. Il caso che investe direttamente l'enfant prodige, e che e svela la doppia morale grillina, desta sospetti innanzitutto sui tempi della restituzione. La prima anomalia: alla data del 9 febbraio, quando la grana era già di dominio pubblico, Di Maio non aveva ancora restituito le indennità. Eppure, l'8 febbraio, un giorno prima dei bonifici, Di Maio dal profilo Facebook elogiava il gesto di Cecconi e Martelli. Buoni esempi che si scontrano con i documenti pubblicati sul sito Tirendiconto.it: 24 ore dopo il post, l'aspirante premier saldava, infatti, i rimborsi. Un ritardo che diventa imbarazzante, se confrontato con la puntualità di Paola Taverna: la senatrice del M5S ha effettuato il bonifico per la restituzione dello stipendio a gennaio, rispettando la tempistica grillina, senza attendere l'eco mediatico. Perché Di Maio ha regolarizzato la propria posizione solo il 9 febbraio? Sicuramente, gli impegni della campagna elettorale avranno distratto il leader pentastellato. Un'inadempienza che la base, quella ortodossa, pare non abbia perdonato a Di Maio nel giorno delle parlamentarie: il candidato premier ha raccolto circa 490 voti mentre la Taverna più di 2mila. E nel mondo grillino c'è chi è pronto a scommettere che sia stato proprio il caso dei rimborsi a incidere sul risultato, non certo esaltante, per di Maio. Paolo Russo, deputato di Forza Italia e capolista alla Camera dei Deputati in Campania, invoca il giudizio dei cittadini: «Sono certo che questo rappresenterà un ulteriore elemento di giudizio da parte degli elettori che così avranno la possibilità di capire che i 5 Stelle predicano bene quando a sbagliare sono gli altri e razzolano male invece quando si tratta di loro. La verità ci dimostra che sono i primi ad incappare in quelle condotte che poi solo a parole giudicano riprovevoli. Altro che abolizione dei vitalizi, altro che rinuncia ai rimborsi spese».

Il braccino corto nei rimborsi pare sia un vizio per il leader grillino: il 14 dicembre 2017, alla vigilia del voto per le parlamentarie, il politico di Pomigliano d'Arco ha saldato con tre bonifici (datati 14 dicembre) i rimborsi dei mesi di luglio, agosto e settembre. C'è un altro aspetto della vicenda che suscita dubbi: gli importi. Basta spulciare le copie dei bonifici per verificare come la somma restituita cambi di mese in mese. Nel mese di ottobre, Di Maio ha riconsegnato 1819,11 euro mentre a dicembre quasi il triplo (4040,38). C'è chi invoca per Di Maio l'identico trattamento riservato Cecconi e Martelli: il deferimento al collegio dei probiviri e la rinuncia al seggio in Parlamento.

Ma si sa, anche nel regno grillino, i capi meritano un trattamento privilegiato.

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