Politica

Di Maio vuol fare il premier senza voti

Spera in un governo a "maggioranze variabili". Altro affondo sulle banche

Di Maio vuol fare il premier senza voti

Roma - Benvenuti alla «Smart nation» vagheggiata da Luigi Di Maio, «una nazione intelligente con meno leggi e più investimenti in tecnologie per migliorare la qualità della vita degli italiani». Ne sentirete parlare, gongola il babycapo politico di M5s: «È un programma che non fa nuove leggi per continuare a complicare la vita dei cittadini, ma ne abolisce 400 subito».

Avessimo anche un'idea di quali siano le 400 sulla lista nera grillina, saremmo più tranquilli. Di sicuro, il concetto «smart» più che di moderna semplificazione sembra puzzare di furbizia (o ignoranza, che è furbizia al quadrato). Se ne scorgono esempi lampanti durante il tour domenicale che lo porta dalla Triennale di Milano, evento di robotica, agli studi di in Mezz'ora su Raitre, abbandonati in fretta e furia non appena s'è profilato una specie di primo confronto con l'altro ospite, il leghista Salvini. Il frontman di Grillo nella sua campagna è ovviamente aiutato alla grande dalla coppietta Renzi-Boschi, e dunque spara volentieri sulla croce rossa: «Se qualcuno di voi del Pd sa, parli prima di affondare... State sul Titanic», gigioneggia. «La Boschi è solo la punta dell'iceberg; mi chiedo: quanto è coinvolto lo Stato in questa vicenda? Lo Stato, o parte di esso, è ricattabile? Perché gli avversari del Pd non chiedono le dimissioni? Ci sarebbe un effetto-domino? La Boschi è la garanzia che certi equilibri reggano?».

Ma quando Di Maio passa a parlare del dopo elezioni con la leggerezza del pivellino ecco cadere l'asino. Se fino a pochi giorni fa ancora blaterava del 40% che avrebbe accompagnato il suo trionfale ingresso a Palazzo Chigi, ieri per la prima volta ha ammesso che del 40 non v'è certezza (neppure di vincere, del resto). Bene: senza maggioranza parlamentare, per poter legittimamente aspirare all'incarico di formare un governo, Di Maio dovrebbe avere la cortesia di spiegare con chi intende allearsi e perché. Invece la risposta sconcerta per l'infantile furbizia. Dopo aver giustamente rilevato che «votare all'infinito non si può» e «non è neppure detto che il risultato cambi», il candidato premier dice che i Cinquestelle «si assumeranno la responsabilità di assicurare un governo al Paese» (deo gratias, ma è proprio necessario?). E quindi, «la sera stessa delle elezioni faremo un appello pubblico, chiederemo di votare la fiducia alla nostra forza politica e al nostro governo sui temi, quindi ci incontreremo con chi risponde, alla luce del sole, per spiegare quali sono i nostri obiettivi programmatici». Traducendo alla lettera dalla lingua dell'asilo Mariuccia, significa che M5s vorrebbe guidare il governo senza avere i voti, senza pagare dazi di coalizione, senza mostrare alcun capacità di gestione politica. Siccome siamo ancora convinti che il M5s non voglia fare del Parlamento un «bivacco di manipoli», immaginiamo che la soluzione proposta in maniera confusa abbia un nome ben preciso, che risale alla Prima Repubblica. Si definisce governo a maggioranze variabili.

Esecutivo di minoranza che, come ratio, è anche «del presidente»: ovvero viene guidato da persona che riscuote piena fiducia del capo dello Stato, considerata la gravità della situazione. È questo che intendeva dire Di Maio? E pensa davvero di poter essere tra i prescelti?

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